Contabilità

Crisi d’impresa, breve la fase che precede la segnalazione

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di Paolo Rinaldi

Gli obblighi di segnalazione posti all’articolo 14 del Codice della crisi di impresa (decreto legislativo 12 gennaio 2019 n. 14) a carico degli organi di controllo societari e del revisore contabile hanno una tempistica molto stretta e rigida, a fronte della quale ben poco spazio viene dato alla possibilità di una soluzione interna della crisi.

Una volta accertata l’esistenza di fondati indizi della crisi, infatti, l’organo di controllo deve immediatamente iniziare una fase di interlocuzione con quello amministrativo, mediante una pec con la quale esso gli trasmette la relativa segnalazione. È ragionevole ipotizzare che prima dell’invio della comunicazione in oggetto intervengano numerose interlocuzioni informali tra gli organi societari, volte ad appurare prima di tutto se vi è condivisione o meno circa l’esistenza dei fondati indizi, ma anche – laddove se ne riscontrasse congiuntamente la presenza – riguardo al percorso di risanamento da perseguire.

L’organo di controllo infatti è onerato dal legislatore del dovere di segnalazione all’Ocri (organismo di composizione della crisi d’impresa), laddove gli amministratori non rispondano o diano una risposta inadeguata. Mentre pare improbabile la mancanza di una risposta alla pec, il giudizio circa l’adeguatezza della risposta invece può senz’altro trovare differenti approcci e livelli di soddisfazione tra i due soggetti. Peraltro, in presenza di una risposta considerata adeguata, il legislatore utilizza un’espressione assai sibillina: occorre che l’organo amministrativo adotti nei successivi sessanta giorni le misure necessarie per superare lo stato di crisi.

Poiché la crisi talvolta ha una causa finanziaria, ma sempre più spesso vi sono ragioni industriali o commerciali alla base della insufficienza dei flussi di cassa, individuare le misure necessarie è cosa ben diversa dal riuscire ad adottarle efficacemente in sessanta giorni.

Il tempo disponibile, infatti, è sufficiente per la predisposizione di un diagnostico iniziale, incluso la tesoreria, se non inizialmente implementata, ma certamente non pare adeguato per predisporre un piano industriale attendibile e soprattutto verificare se le misure di risanamento siano tali da consentire di superare lo stato di crisi.

Il legislatore ha infatti definito la crisi come una condizione di tipo finanziario, la quale – proprio a causa della insufficienza dei flussi di cassa – solitamente comporta un processo negoziale, all’interno del quale la predisposizione di un piano e di una ipotesi di manovra finanziaria sono solamente la premessa necessaria di una successiva attività di dialogo con i creditori cui il debitore andrà a richiedere determinati sacrifici (moratorie, rinegoziazioni di clausole contrattuali, stralci ecc.).

La durata del processo negoziale – anche in funzione delle richieste e delle controproposte, e della documentazione che deve essere ulteriormente predisposta ed eventualmente modificata dipendendo dagli esiti delle interazioni con i creditori – è sicuramente variabile, ma certamente non sufficiente per la gestione della crisi nell’arco di novanta giorni.

Occorre valutare di estendere la durata del periodo di gestione interna dell’allerta: basti pensare, ad esempio, alla circostanza che il principale creditore – la banca – a fronte di uno scaduto che le comporterebbe un default, deve concedere al debitore un cure period di novanta giorni che gli consente di sanare la posizione e rientrare in bonis. Non si comprende come il legislatore, mentre il creditore concede novanta giorni, lascia solo trenta giorni all’impresa prima di iniziare l’allerta interno. Occorrerebbe equiparare le due durate, per rendere maggiormente omogenea la gestione della crisi fuori e dentro l’impresa.

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