Il mancato deposito della nota di iscrizione a ruolo non rende inammissibile il ricorso
La Ctr Lazio delinea con chiarezza l’ambito applicativo della sanzione della inammissibilità del ricorso
Il mancato deposito da parte del ricorrente della nota di iscrizione a ruolo non costituisce causa di inammissibilità del ricorso: lo ha affermato la Ctr Lazio con la sentenza 29 gennaio 2020, n. 1366/2020, depositata lo scorso 3 giugno (sez. XI, Presidente: Picone; Relatore: Pieroni). Per i giudici capitolini, in particolare, le cause di inammissibilità del ricorso sono espressamente previste dal Legislatore all’articolo 22, comma 1, primo periodo, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.
La pronuncia appare importante in quanto tende a fare chiarezza su un aspetto tuttora controverso. In particolare, occorre muovere il ragionamento dalla lettura del citato primo periodo della norma, per effetto del quale, entro 30 giorni dalla proposizione del ricorso il ricorrente è tenuto - «a pena d’nammissibilità» - a depositare, presso la segreteria della Commissione tributaria adita, o a trasmettere a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, l’originale del ricorso notificato oppure copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione per raccomandata.
L’articolo 2, comma 35-quater, lettera c), D.L. 13.8.2011, n. 138, convertito con modifiche dalla L. 14 settembre 2011, n. 148, ha aggiunto un secondo periodo all’interno del primo comma della norma in commento, prevedendo che all’atto della costituzione in giudizio, il ricorrente deve depositare la nota di iscrizione al ruolo, contenente l’indicazione delle parti, del difensore che si costituisce, dell’atto impugnato, della materia del contendere, del valore della controversia e della data di notificazione del ricorso. In tale formulazione non è peraltro espressamente prevista la inammissibilità del ricorso per l’ipotesi di mancato deposito dell’iscrizione a ruolo.
Secondo un consolidato orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità – in gran parte maturato con riferimento a fattispecie sorte antecedentemente all’entrata in vigore della novella del 2011 – la sanzione della inammissibilità è fermamente ancorata genericamente al primo comma del richiamato articolo 22, D.Lgs. 546/1992. Al riguardo è d’aiuto riportare un passaggio dell’ordinanza 15 ottobre 2018, n. 25666, laddove la V Sezione tributaria della Suprema Corte sottolineò che, «con riguardo alla previsione dell’articolo 22 del D.lgs. n. 546 del 1992 la Sezione ha da tempo definitivamente chiarito che, in tema di contenzioso tributario, la sanzione processuale dell’inammissibilità del ricorso è disposta soltanto nel caso di mancato deposito degli atti e documenti espressamente previsti dal comma 1 della norma citata». Non si distingue pertanto tra primo e secondo periodo.
È nel contesto descritto che appare importante la pronuncia della Commissione regionale del Lazio, in quanto delinea con chiarezza l’ambito applicativo della sanzione della inammissibilità del ricorso.
Per completezza, si segnala che i commi primo e secondo dell’articolo 22 in commento furono dichiarati illegittimi (Corte Costituzionale, sentenza 6.12.2002, n. 520) «nella parte in cui non consente, per il deposito degli atti ai fini della costituzione in giudizio, l’utilizzo del servizio postale».