Il riscatto è basso? È cessione di beni e non prestazione di servizi
Si considera cessione di beni e non prestazione di servizi l’oggetto di un «contratto tipo di locazione con opzione di acquisto, qualora si possa dedurre dalle condizioni finanziarie del contratto che l’esercizio dell’opzione risulta l’unica scelta economicamente razionale che il locatario potrà fare, giunto il momento, se il contratto è stato eseguito fino al suo termine».
Questo è il dispositivo della sentenza che la Corte di giustizia ha adottato il 4 ottobre, nella causa C-164/16 , che ha visto la contrapposizione tra la società finanziaria di una nota marca automobilistica e il fisco inglese.
Per inquadrare questa determinazione del giudice sovranazionale – che dovrà necessariamente essere rispettata nell’ordinamento di tutti i Paesi dell’Unione – bisogna ricordare che (utilizziamo i riferimenti della nostra legge Iva, che sono coerenti con la direttiva) l’articolo 2, secondo comma, n. 2) del Dpr 633/72 qualifica nelle cessioni di beni «le locazioni con clausola di trasferimento della proprietà vincolante per ambedue le parti».
Che cosa distingue
la locazione dalla vendita
Nella classificazione sistematica di queste operazioni si usa parlare di “locazione-vendita”. Il caso storico era quello delle locazioni “a riscatto” degli istituti case popolari: chi pagava regolarmente il canone di affitto per 25 anni diventava proprietario dell’appartamento.
Che cosa distingue formalmente la locazione-vendita dal leasing, come lo applichiamo nel nostro Paese? Nel primo contratto – cessione – l’acquisto della proprietà consegue all’adempimento della condizione di pagare tutti i canoni per la durata contrattuale, mentre nella locazione finanziaria esiste un contratto principale – quello di godimento, prestazione di servizi – con un contratto accessorio, quello relativo all’esercizio dell’opzione di acquisto, comunemente chiamata “riscatto”.
Ma per il trasferimento della proprietà del bene – cioè per la vera e propria cessione - occorre una ulteriore manifestazione di volontà, possibile solo dopo aver rispettato il contratto in merito ai canoni periodici.
Nella recente sentenza la Corte di giustizia privilegia un approccio di prevalenza della sostanza sulla forma: se il corrispettivo dell’opzione di acquisto è così basso, che non avrebbe alcun senso rinunciare al riscatto, il contratto deve essere considerato sin dall’inizio come una vendita. Il che in Iva significa fatturare subito tutti i corrispettivi, sia periodici che quello finale.
Il riscatto di basso valore
Sin da quando il leasing ha iniziato a svilupparsi nel nostro Paese si è sempre - correttamente - affermato che il riscatto di modesto importo rientra nella logica dell’operazione. Le società di leasing sono infatti operatori finanziari e quindi costruiscono l’operazione in modo che, secondo id quod plerumque accidit, tutti i clienti si portino a casa il bene. E questo obiettivo si raggiunge proprio con la fissazione di un corrispettivo dell’opzione portato ai minimi termini.
Se poi pensiamo al leasing immobiliare, quello in cui è più evidente che nessuno abbandonerà mai un fabbricato che si può riscattare pagando una frazione minimale del prezzo di acquisto, il problema Iva si complica: le rate di leasing, essendo ora considerate prestazioni di servizi, vengono addebitate con la fattura normale, ma se si considerano un pagamento rateale della cessione, si deve fatturare in reverse charge, salvo il leasing ad aedificandum, in cui la società finanziaria assume la qualifica di costruttore.
La sentenza della Corte non può essere ignorata e – nei limiti di compatibilità con la direttiva - occorre che il legislatore intervenga con la massima sollecitudine, salvando in particolare i contratti in corso.
La sentenza della Corte di giustizia Ue nella causa C-164/16