Imposte

Criptovalute, agenzia delle Entrate e Tar allineati su tassazione e monitoraggio

Manca ancora un definitivo intervento legislativo di coordinamento con la normativa tributaria

di Francesco Avella

Sulla gestione fiscale delle criptovalute le Entrate e i giudici sono uniformati. Mentre l’Agenzia ribadisce la sua linea sulla tassazione e il monitoraggio fiscale delle criptovalute possedute da soggetti residenti che non operano in regime d’impresa, ancora di recente il Tar del Lazio, nella sentenza 01077/2020 del 27 gennaio 2020, ha respinto il ricorso che voleva far annullare i provvedimenti di approvazione del modello Redditi 2019-PF basati su tale linea. La direzione è dunque segnata, ma la peculiarità della materia richiederebbe un intervento legislativo di coordinamento con la normativa tributaria.

Le decisioni
Sono due le prese di posizione fondamentali dell’agenzia delle Entrate sul punto:
• le criptovalute sono un mezzo/strumento di pagamento (risoluzione n. 72/E del 2016 e risposta n. 14 del 2018) e pertanto «si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali» (interpello n. 956-39/2018). Come il Tar del Lazio rileva, si tratta di «una qualificazione fondata su una definizione ’funzionale’ dell’oggetto (ovvero teleologica e non meramente tipologica), (…) coerentemente con la loro natura effettiva, che è – per l’appunto – rappresentativa di valori’(…) espressivi di capacità contributiva»;
• la detenzione di criptovalute deve essere oggetto di monitoraggio fiscale nel quadro Rw, ma non è soggetta ad Ivafe «in quanto tale imposta si applica ai depositi e conti correnti esclusivamente di natura bancaria» (interpello n. 954-14/2018). Nella sua costituzione in giudizio davanti al Tar del Lazio, l’agenzia delle Entrate parla di «portafogli elettronici o “wallet”– conti digitali».

La rilevanza fiscale
L’assimilazione ai fini fiscali delle criptovalute alle valute tradizionali non è esente da critiche, ma le ripetute prese di posizione dell’agenzia delle Entrate e le considerazioni del Tar del Lazio tracciano una linea molto marcata che i contribuenti residenti in Italia non possono trascurare.

Per i soggetti non imprenditori residenti, ogni conversione di criptovaluta con altra valuta tradizionale, altra criptovaluta, o beni e servizi, è secondo l’agenzia delle Entrate riconducibile all’art. 67, comma 1, lett. c-ter del Tuir e, pertanto, genera plusvalenze imponibili con imposta sostitutiva del 26% o minusvalenze nei casi di cessione a termine, ovvero ( cessione a pronti ma solo se, nel periodo d’imposta, la giacenza di criptovalute complessivamente detenute, anche di diversi tipi e in diversi wallet, abbia superato il controvalore di 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi, calcolato sulla base del rapporto di cambio all’inizio del periodo di riferimento rilevato sul sito dove il soggetto ha maggiormente operato.

I differenziali realizzati su contratti che determinano l’obbligo di acquistare o cedere a termine criptovalute (come i Contract For Difference o altri contratti conclusi sul Forex) sono invece riconducibili alla lett. c-quater dell’art. 67, comma 1, del Tuir e, comunque, sono forieri di plusvalenze imponibili con imposta sostitutiva del 26% o di minusvalenze.

I punti oscuri
Questi chiarimenti sono coerenti con precedenti prese di posizione relative all’operatività in valuta estera (risoluzioni n. 67/E del 2010 e n. 102/E del 2011), ma restano aree grigie dovute alla particolare natura delle criptovalute.

In particolare, non è chiaro se la previsione che assimila «il prelievo delle valute estere dal deposito o conto corrente» alla cessione a titolo oneroso, possa valere per le criptovalute, dato che non si è in presenza di depositi e conti correnti di natura “bancaria” ma di conti digitali. Laddove tale previsione valesse anche per le criptovalute, non è chiaro quale concetto di “prelievo” assumerebbe rilevanza, fermo restando che comunque lo spostamento tra indirizzi riconducibili allo stesso contribuente non dovrebbe mai considerarsi “prelievo”.

Tra i vari casi peculiari, l’hard fork di criptovalute con creazione di una nuova criptovaluta, con o senza airdrop delle nuove criptovalute generate in favore del possessore delle prime: la questione è stata affrontata negli Stati Uniti dall’Irs nel Revenue Ruling 2019-24, ma il suo trattamento fiscale in Italia è ancora dubbio.

Il monitoraggio fiscale
Quanto al monitoraggio fiscale nel quadro Rw, secondo l’agenzia delle Entrate le criptovalute devono essere indicate compilando la colonna 3 “Codice individuazione bene” con il codice “14”, omettendo di compilare la colonna 4 “Codice Stato estero” (data, per l’appunto, la loro “aterritorialità”) e barrando la colonna 20 “Solo monitoraggio” in quanto non soggette ad Ivafe. Non è chiaro, però, se valga, per i conti digitali di criptovalute, l’esclusione dagli obblighi di monitoraggio prevista per i depositi e conti correnti “bancari” che non superino nel periodo d’imposta il valore massimo complessivo di 15.000 euro.

Nell’interpello n. 956-39/2018 si afferma poi che, ai fini Rw, «il controvalore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale». Questa affermazione non è tuttavia conforme alla prassi pubblicata – circolare n. 28/E del 2 luglio 2012 – secondo cui il criterio di valorizzazione a valore di mercato è applicabile solo in caso di negoziazione su “mercati regolamentati”, cosa non riscontrabile dato che nessuna criptovaluta è ad oggi negoziata su mercati regolamentati nemmeno esteri (sul CME-Globex statunitense sono negoziati soltanto futures su bitcoin e opzioni su futures su bitcoin).

Sembra quindi corretto assumere il costo d’acquisto come criterio di valorizzazione delle criptovalute nel quadro Rw e, pertanto, in linea con la risoluzione n. 77/E del 2016: «Nel caso in cui si utilizzi il costo di acquisto si applicherà il cambio medio del mese in cui ricade la data di acquisto (…). In tale ipotesi non sarà necessario aggiornare il valore indicato nella dichiarazione».

Quanto, invece, ai contratti di natura finanziaria e i derivati su criptovalute, essi devono essere indicati nel quadro Rw sulla base del valore di mercato ed essere assoggettati ad Ivafe se stipulati con controparti non residenti ovvero conclusi all’estero.

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