Immobili di terzi, detrazione e rimborso Iva in salita sulle spese per migliorie
I nodi della determinazione del reddito di lavoro autonomo e della detraibilità e rimborso dell’Iva
Il trattamento tributario delle migliorie realizzate su beni immobili di terzi è oggetto di contraddittori arresti della giurisprudenza, tanto di merito quanto di legittimità. In particolare, le maggiori criticità si rilevano, da un lato, nella determinazione del reddito di lavoro autonomo e, dall’altro, nella detraibilità e nel rimborso dell’Iva sia per quanto riguarda i professionisti che le imprese.
La determinazione del reddito di lavoro autonomo
Quanto al perimetro relativo al reddito di lavoro autonomo, la norma di riferimento è l’articolo 54, comma 2, del Tuir, a mente del quale le spese relative all’ammodernamento, alla ristrutturazione e alla manutenzione di immobili utilizzati nell’esercizio di arti e professioni, che per le loro caratteristiche non sono imputabili ad incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono deducibili, nel periodo d’imposta di sostenimento, nel limite del 5 % del costo complessivo di tutti i beni materiali ammortizzabili risultanti all’inizio del periodo d’imposta, mentre l'eccedenza è deducibile in quote costanti nei cinque periodi d’imposta successivi.
In seguito alle novità apportate dalla legge finanziaria per il 2007, il trattamento fiscale di tali spese ricalca quello tradizionalmente previsto per le imprese dall’articolo 102, comma 6, del Tuir. La vigente formulazione normativa non distingue più tra spese di manutenzione di natura ordinaria e straordinaria, ma tra spese di natura incrementativa e non. La norma in parola ha però omesso di disciplinare il calcolo del plafond nel caso di nuove attività di lavoro autonomo, che di conseguenza è generalmente pari a zero.
In generale, mentre le spese di natura incrementativa, essendo imputabili ai beni ai quali si riferiscono, trovano riconoscimento attraverso la deduzione di maggiori quote di ammortamento in base al criterio di competenza, quelle di natura non incrementativa seguiranno, invece, un criterio di cassa nei limiti disposti dalla richiamata disposizione. La differente natura delle spese sostenute è ispirata a un criterio di tipo oggettivo legato alle loro stesse “caratteristiche”. Un concetto che richiede di attingere a quanto previsto dall’Oic 16 in materia di immobilizzazioni materiali, in base al quale le spese si distinguono a seconda che possano o meno tradursi in un aumento significativo e misurabile di capacità o di produttività o di sicurezza o, ancora, di vita utile del cespite.
La Corte di cassazione, con le ordinanze 11907/2019 e 7226/2020, ha avuto modo di ribadire che la mancanza di titolarità di diritti reali sull’immobile non incide sulla disciplina della deduzione delle spese nei termini stabiliti dal Tuir, atteso che la norma di riferimento, vale a dire il citato articolo 54, comma 2 del Tuir, non pone alcuna distinzione tra immobili di proprietà del contribuente e quelli di proprietà di terzi, condotti in locazione (anche finanziaria) o utilizzati comunque ad altro titolo. Pertanto, secondo i giudici di legittimità, rileva solo che i costi per la ristrutturazione dell’immobile, effettivamente risultanti dalla documentazione contabile, siano sostenuti al fine della realizzazione del miglior esercizio dell’attività professionale e dell’aumento della redditività. In senso conforme si è, peraltro, espressa l’agenzia delle Entrate con la circolare 47/E/2008 e con la risoluzione 99/E/2009.
Non solo. Nei casi esaminati tanto dalle ordinanze quanto in quello oggetto della richiamata risoluzione, gli immobili interessati dagli interventi di manutenzione risultavano essere accatastati come abitativi. Dunque, la categoria catastale non strumentale per natura dell’immobile non è in assoluto ostativa alla deducibilità dei costi che risultino funzionalmente collegati e inerenti rispetto all’attività concretamente esercitata dal contribuente.
La detraibilità dell’Iva
Quanto appena detto si opacizza in tema di detraibilità dell’Iva. Infatti, secondo i citati documenti di prassi e la successiva risoluzione 18/E/2012, ove il professionista sostenga spese per la manutenzione, il recupero o la gestione di un immobile abitativo utilizzato come ufficio, a prescindere dal fatto che sia di proprietà o di terzi, trova applicazione l’articolo 19-bis1, lettera i) del Dpr 633/1972, che espressamente dispone la indetraibilità oggettiva dell’Iva relativa a tali spese. La risoluzione del 2012, confermando che per l’amministrazione finanziaria prevalgono sempre le risultanze catastali, ammette una deroga solo in caso di immobili abitativi utilizzati dal soggetto passivo nell’ambito di un’attività di tipo ricettivo che comporti l’effettuazione di prestazioni di servizi imponibili ad Iva.
La giurisprudenza della Cassazione (SSUU sentenza 11533/2018), invece, ha statuito l’importante principio di diritto secondo cui la detrazione Iva spetta anche in caso di opere eseguite su beni immobili di proprietà di terzi, prescindendo dalla classificazione catastale dell’immobile, purché sussista il requisito dell’inerenza, intesa come nesso di strumentalità, anche solo potenziale o prospettica, tra il bene e l’attività imprenditoriale o professionale esercitata. Una conclusione basata sulla necessità di riconoscere il primato del fondamentale principio europeo di neutralità dell’Iva, non potendosi infatti tollerare in via di principio limitazioni al diritto di detrazione, come espresso costantemente dal giudice europeo (Cgue, 28 febbraio 2018, C672/16).
Da ultimo, la Corte (sentenza 6022/2020) ha riconosciuto non solo il diritto alla detrazione, ma in alternativa anche il rimborso. Su quest’ultimo tema, però, la navigazione è davvero a vista, posto che esiste un profondo contrasto giurisprudenziale che oscilla tra il riconoscimento dello stesso anche in caso di spese sostenute su beni di terzi, come appena visto, e il principio secondo cui, invece, la spettanza del diritto alla detrazione Iva non comporta l’automatica attribuzione del diritto al rimborso dell’imposta assolta (Cassazione 10110/2020).
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