Imposte

Importazioni, necessaria la revisione delle sanzioni Iva

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di Paolo Centore

La Corte di giustizia chiude alle importazioni virtuali e rimodula le sanzioni in caso di irregolare pagamento dell'Iva. Sono questi i due principi stabiliti dalla sentenza C-272/13 del 17 luglio 2014, che risolve una controversia sorta tra un contribuente (Equoland) e l'agenzia delle Dogane italiana.
Il primo punto riguarda l'introduzione virtuale dei beni provenienti da un territorio terzo nei depositi doganali, al fine di ottenere la sospensione del pagamento dell'Iva all'importazione. Nella prassi, è invalso l'uso di annotare l'entrata del bene nel deposito doganale mediante iscrizione nel registro, senza tuttavia procedere alla sua introduzione fisica.
Questa impostazione, seguita dagli importatori il più delle volte per velocizzare la rispedizione dei beni importati, era già stata oggetto di censura in sede amministrativa da parte dell'agenzia delle Dogane che, con la circolare 6/D del 28 aprile 2006, aveva espressamente osservato che "(…) i beni devono essere materialmente introdotti nel deposito (…) non essendo sufficiente la mera presa in carico documentale degli stessi nell'apposito registro di cui al citato comma terzo dell'articolo 50 bis [del Dl n. 331/1993]. Non v'è dubbio, infatti, che, secondo la portata della norma, il deposito Iva deve comunque assolvere le funzioni di stoccaggio e di custodia dei beni in esso introdotti: non è, pertanto, ammissibile alcuna forma di deposito virtuale".
La Corte europea conferma questa rigorosa impostazione e osserva (punto 29 della sentenza) che "(…) un siffatto obbligo [di introdurre fisicamente i beni nel deposito], nonostante il suo carattere formale, è atto a permettere di conseguire efficacemente gli obiettivi perseguiti, vale a dire garantire un'esatta riscossione dell'Iva nonché evitare l'evasione di tale imposta e, in quanto tale, non eccede quanto necessario per conseguire i suddetti obiettivi".
La conseguenza per gli importatori è dunque l'obbligo di seguire alla lettera la norma di legge e di provvedere all'introduzione fisica dei beni nel deposito doganale, se intendono usufruire della sospensione del pagamento dell'imposta dovuta all'atto dell'importazione.
Altrettanta attenzione va riservata al secondo tema trattato dalla sentenza C-272/13, riguardante la misura delle sanzioni. La Corte richiama i precedenti orientamenti sul tema e precisa (punto 39 della sentenza) che " (…) un versamento tardivo dell'Iva costituisce, in mancanza di un tentativo di frode o di danno al bilancio dello Stato, solo una violazione formale che non può rimettere in discussione il diritto a detrazione del soggetto passivo".
Il senso è di distinguere la misura delle sanzioni in dipendenza di un errore, quale il ritardo del versamento, da quelle applicabili in presenza di un comportamento frodatorio. Aggiungendo, poi, nel caso specifico, che la richiesta di riversare l'Iva dovuta all'importazione, quale effetto dell'irrituale introduzione dei beni nel deposito, e della maggiorazione del 30%, ignorando che l'operatore aveva comunque proceduto ad assolvere l'imposta mediante reverse charge nel momento di estrazione dei beni dal deposito, appare del tutto sproporzionata alla natura e all'entità dell'infrazione commessa.
È questa un'indicazione utilissima per sollecitare una revisione del sistema sanzionatorio che, in oggi, non distingue tra l'errore formale e l'errore sostanziale, come dimostrano le molteplici contestazioni sull'errata applicazione del reverse charge, tuttora in attesa di pronunzia da parte della Corte di giustizia.

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