Investimenti in start up, le nuove agevolazioni a rischio disapplicazione
La legge di Bilancio 2019 (legge 30 dicembre 2018, n. 145) ha previsto all’articolo 1, comma 218, due importanti misure volte ad aumentare le agevolazioni fiscali spettanti a persone fisiche e giuridiche per gli investimenti in start-up innovative. La disposizione, infatti, solo per l’anno 2019, ha incrementato dal 30 al 40 per cento le aliquote delle detrazioni e delle deduzioni già previste dall’articolo 29 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 (come modificato dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221), ed ha, inoltre, esteso le predette agevolazioni dal 30 al 50 per cento nei casi di acquisizione dell’intero capitale sociale di start-up innovative.
Affinché si possa beneficiare dell’agevolazione del 50 per cento, l’acquisizione dovrà avvenire da parte di soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società, diversi da imprese start-up innovative, e a condizione che l’intero capitale sociale sia acquisito e mantenuto per almeno tre anni.
Nonostante lo spirito della modifica normativa sia da accogliere positivamente, sono numerose le difficoltà che derivano dalla concreta applicazione della nuova agevolazione. L’intervento ha infatti inteso estendere delle misure originariamente previste dal decreto legge n. 179 (miranti a rafforzare la crescita e la propensione all’investimento in start up innovative) ad una fattispecie diametralmente opposta, ossia all’acquisto di partecipazioni totalitarie di start up innovative.
Il sistema applicativo e interpretativo che si è formato negli anni rispetto alle originarie agevolazioni mal si concilia pertanto con la semplicistica e quantomai criptica estensione voluta dalla recente manovra.
La prima sostanziale differenza tra le due fattispecie può essere individuata specificamente nella individuazione dell’investimento agevolato. Conformemente all’articolo 3 del decreto attuativo 30 gennaio 2014, le originarie agevolazioni si applicano esclusivamente ai conferimenti in denaro iscritti alla voce del capitale sociale e della riserva sovrapprezzo, effettuati sia in sede di costituzione della start-up innovativa sia in sede di aumento del capitale sociale di una start-up già costituita.
La norma estensiva sembra al contempo far riferimento ai «casi di acquisizione dell’intero capitale sociale di start-up innovative», quale condizione necessaria per accedere al beneficio, salvo poi rinviare alle “predette aliquote” per le modalità di determinazione dell’agevolazione. Tuttavia, un’interpretazione coerente con la finalità della norma, ossia favorire le exit delle start up e la loro crescita in aziende innovative strutturate, parrebbe indirizzare verso una quantificazione del beneficio legata al costo sostenuto per l’acquisto dei titoli, anziché alle originarie previsioni del decreto attuativo.
Un’ulteriore fonte di incertezza interpretativa riguarda la possibile compatibilità delle due diverse agevolazioni sia in termini qualitativi che quantitativi. Per quanto concerne il primo aspetto, nel silenzio della disposizione, parrebbe verosimile il cumulo delle agevolazioni in capo a soggetti diversi (soci originari e acquirenti nuovi investitori) per la stessa start up e immissione di capitale, laddove non si verifichino cause che determinino la decadenza in capo ai singoli soggetti.
Sotto il profilo quantitativo, nonostante per i soggetti Ires l’investimento massimo deducibile per le agevolazioni “originarie” non possa eccedere, in ciascun periodo d’imposta, l’importo di 1,8 milioni di euro, il limite in questione dovrebbe essere considerato cumulabile e separato per le diverse agevolazioni, avendo le stesse, come visto, finalità e applicazioni diverse. In riferimento al limite dell’agevolazione (nonché alla sua stessa quantificazione) sarà, inoltre, opportuno chiarire come lo stesso debba essere interpretato in relazione alle operazioni di acquisizione di partecipazioni dilazionate in esercizi diversi, considerando che il suddetto limite ha un tetto massimo annuale mentre l’agevolazione si realizza esclusivamente con il raggiungimento della partecipazione totalitaria.
Sembrano, infine, pienamente compatibili anche per le nuove agevolazioni, le cause di decadenza previste dall’articolo 29, commi 3 e 5 del decreto legge n. 179 e dall’articolo 6 del decreto attuativo, vale a dire la cessione delle partecipazioni, il recesso o l’esclusione degli investitori e la perdita, da parte della società, di uno dei requisiti richiesti per la qualifica di start-up innovativa. Dubbi, invece, potrebbero emergere rispetto alla previsione della lettera lettera b) del comma 1 dell’articolo 6 del decreto attuativo, secondo cui costituisce causa di decadenza «la riduzione di capitale nonché la ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con sovrapprezzi di emissione delle azioni o quote delle start-up innovative» intervenute prima del decorso del periodo minimo stabilito.
Come in precedenza specificato, la normativa originaria ha il fine di agevolare gli investimenti in start-up innovative, effettuati mediante l’immissione di nuovi capitali, che costituiscono un effettivo incremento del capitale sociale. La finalità, chiaramente antielusiva, del precetto contenuto nella citata lettera b) cui riconnettere la decadenza dai benefici – come precisato nella relazione illustrativa al decreto attuativo – deriva dalla necessità di scongiurare incrementi di capitale fittizi, realizzati al solo fine di fruire delle agevolazioni e mal si coordinerebbe con la “nuova” agevolazione.
Al contempo si è appurato che la ratio della stessa risieda nella volontà di agevolare la circolazione delle partecipazioni di start-up innovative, consentendo all’acquirente di beneficiare di un regime fiscale di maggior favore rispetto a quello ordinario. Sarebbe pertanto auspicabile prevedere specifiche cause di decadenza volte a limitare una strumentalizzazione della norma. Si pensi, ad esempio, a fattispecie elusive, in cui la cessione delle partecipazioni avvenga nel contesto di operazioni, che non configurano una effettiva circolazione delle partecipazioni societarie (come nel caso in cui gli stessi soci della partecipata, oggetto di cessione, cedano le partecipazioni ad una società da loro stessi partecipati).
Posto per vero quanto appena detto, non sarebbe irreale ipotizzare che in alcune situazioni, pur non configurandosi un effettivo e sostanziale trasferimento delle partecipazioni dalla sfera economica di uno o più soggetti a soggetti diversi, l’operazione possa essere tutt’altro che priva di sostanza economica: una merger leveraged buy out effettuata ad esempio al fine di incentivare la monetizzazione della quota di equity detenuta da soci di minoranza di start-up innovative (quali, ad esempio, gli investitori di equity crowdfunding) al termine del proprio piano di investimento.
Legge 145/2018 (legge di Bilancio 2019)