L’amministratore non esecutivo risponde per il difetto di diligenza
L’amministratore non esecutivo non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale commesso dai delegati, in ragione del fatto di ricoprire una supposta «posizione di garanzia», ma solo in presenza di un difetto di diligenza nello svolgimento della propria carica.
Dopo la riforma del diritto societario operata dal Dlgs 6/2003, in quali casi è configurabile la responsabilità sociale degli amministratori privi di delega (amministratori non esecutivi)?
Sul tema si è pronunciata la Corte di Cassazione, Sezione II Civile, con la sentenza 23 aprile 2018, n. 9973, rigettando il ricorso promosso da un amministratore non esecutivo indipendente di una Sgr avverso il decreto con cui la Corte d’Appello di Brescia, in data 17 giugno 2015, aveva respinto l’opposizione al provvedimento sanzionatorio della Banca d’Italia, emesso dopo avere rilevato «alcune operazioni irregolari di gestione dei fondi della società», nonché «carenze nell’organizzazione e nei controlli interni» della stessa.
La Corte di Cassazione ha confermato il decreto impugnato, ritenendo infondato il ricorso dell’amministratore, e, in particolare, ha precisato come «nel sistema generale delineato dalla riforma del 2003 elemento costitutivo della fattispecie integrante la responsabilità sociale degli amministratori non esecutivi – accanto alla condotta d’inerzia, al fatto pregiudizievole antidoveroso altrui e al nesso causale tra i medesimi – è quello della colpa».
Nel fare ciò, ha richiamato il principio, già espresso da Cassazione 22848/2015, secondo cui «il sistema della responsabilità degli amministratori privi di deleghe posto dagli articoli 2381 e 2392 Cc, come innovati dalla riforma del diritto societario, conforma l’obbligo di vigilanza dei medesimi non più come avente a oggetto "il generale andamento della gestione" – quale controllo continuo e integrale sull’attività dei delegati – ma richiedendo loro, secondo la diligenza esigibile sin dal momento dell’accettazione della carica, di informarsi ed essere informati, anche su propria sollecitazione, degli affari sociali, e di trarne le necessarie conseguenze. Il perdurante dovere di controllo in capo ai medesimi può precisarsi come obbligo di informazione attiva e passiva, nonché di conseguente attivazione, al fine di scongiurare le condotte dei delegati da cui possa derivare danno alla società; quel che è definito il "dovere di agire informato"». Nella sentenza viene poi chiarito, con specifico riferimento alle società bancarie, come «il dovere di agire in modo informato gravante sui consiglieri non esecutivi (sia) particolarmente stringente in materia di organizzazione e governo societario», e ciò in quanto la «diligenza richiesta agli amministratori risente della "natura dell’incarico" a essi affidato ed è commisurata alle "loro specifiche competenze" (articolo 2392 Cc)» (Cassazione 2737/2013).
Principi generali
L’esame dei motivi di ricorso offre lo spunto per alcune riflessioni sulla portata degli obblighi, e sui connessi profili di responsabilità, degli amministratori non esecutivi delle società di capitali. Nel rigettare il primo motivo di ricorso, la Corte Suprema ha affermato la responsabilità del ricorrente per «non (aver) provveduto a informarsi dettagliatamente e a convocare senza indugio l’assemblea dei soci per i provvedimenti ex articoli 2446 e 2447 Cc, di riduzione e di ricostruzione del capitale sociale o per lo scioglimento della società, che pure era stato chiesto dal 48,8% del capitale sociale in data 22 giugno 2012». Appurato il «grave stato di confusione amministrativa e contabile in cui versava la società», «la gravità della situazione in atto imponeva senza indugio a tutti gli amministratori, e tra essi al M., di convocare l’assemblea dei soci». In altre parole, è stata ritenuta sussistente una responsabilità del ricorrente, amministratore non esecutivo, in ragione della sua "reiterata inerzia" rispetto a condotte che lo stesso avrebbe dovuto non solo rilevare, ma anche (attivarsi per) impedire. Ebbene, già in passato, la Cassazione ha avuto modo di precisare come, nella formulazione ante riforma dell’articolo 2392, comma 2, Cc, l’unico limite alla responsabilità solidale derivante da atti illeciti posti in essere dagli amministratori esecutivi derivasse dalla prova fornita dagli amministratori non operativi di «essersi diligentemente attivati per esercitare il proprio dovere di vigilanza, e, ciò nonostante, di non averlo potuto esercitare a causa del comportamento ostativo degli altri componenti dell’organo amministrativo» (Cassazione 319/2013).
Indubbiamente, con la riforma del diritto societario, l’eliminazione dell’obbligo di vigilare sul generale andamento della gestione in capo agli amministratori – cui ha fatto da contraltare l’obbligo di agire in modo informato, da leggersi unitamente al novellato articolo 2381 Cc – ha ridefinito i limiti della responsabilità solidale degli amministratori "non operativi". Nella pronuncia in commento, la Suprema Corte ha voluto chiarire la portata della nuova formulazione, statuendo che «la fattispecie sostanziale omissiva precisata dal nuovo articolo 2392 Cc ha inteso superare ogni possibile riconduzione della responsabilità degli amministratori non esecutivi alla mera carica ricoperta, avendola ancor più esplicitamente condizionata all’elemento della colpa (Sezione 1, Sent. 22848 del 2015)». Colpa che, ai sensi dell’articolo 2392 Cc, può consistere «o nell’inadeguata conoscenza del fatto altrui o nel non essersi il soggetto con diligenza utilmente attivato al fine di evitare l’evento, aspetti entrambi ricompresi nell’essere "immuni da colpa" (cfr. articolo 2392 Cc, comma 3)». Dunque, l’amministratore non esecutivo non risponde in modo automatico per ogni fatto dannoso aziendale e in ragione della mera "posizione di garanzia" ricoperta, ma solo in presenza di un difetto di diligenza, vuoi per «non aver rilevato colposamente i segnali dell’altrui illecita gestione, pur percepibili con la diligenza della carica», vuoi per «non essersi utilmente attivato al fine di evitare l’evento».
Dalla lettura combinata degli articoli 2392 e 2381 Cc si ricava allora la sussistenza non già di una mera facoltà, bensì di un onere in capo all’amministratore di informarsi, andando anche oltre i flussi informativi procedimentalizzati dall’articolo 2381 Cc, specie in presenza di segnali d’allarme – quali il compimento di atti ultra vires da parte degli amministratori delegati, la presenza di informazioni lacunose, una situazione economico-finanziaria fortemente compromessa, operazioni anomale ecc. – circa eventi pregiudizievoli per la società (Cassazione 17441/2016). La violazione del dovere di agire informati deve dunque essere valutata non solo sulla base delle informazioni che agli amministratori non esecutivi vengono somministrate, ma anche sulla base di quelle che essi stessi possono acquisire di propria iniziativa (Cassazione 8730/2016).
Un ultimo accenno, per concludere, all’onere della prova nell’ambito di siffatti procedimenti sanzionatori: spetta agli amministratori non esecutivi «provare di avere tenuto la condotta attiva dovuta o, comunque, mirante a scongiurare il danno», giacché la Banca d’Italia ben può limitarsi a dimostrare «l’esistenza dei segnali di allarme che avrebbero dovuto indurre gli amministratori non esecutivi, rimasti inerti, a esigere un supplemento di informazioni o ad attivarsi in altro modo» (Cassazione 604/2017).
Per approfondire: Amministratori di società, regole di comportamento, responsabilità e funzioni, in edicola e on line.