Controlli e liti

La deduzione degli interessi passivi «supera» l’inerenza

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di Roberto Bianchi

La Suprema Corte, con la ordinanza 19430/2018 , ha ribadito l’orientamento ormai consolidato della Cassazione, secondo cui gli interessi passivi sono sempre deducibili dal reddito di impresa, anche se nei limiti dettati dall’articolo 96 del Tuir, senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza.
Il collegio di legittimità ha affermato che, il diritto alla deducibilità tout court degli interessi passivi, trova esplicito fondamento nel tenore letterale del comma 5, articolo 109 del Tuir, il quale rappresenta la chiara volontà legislativa di riconoscere un trattamento differenziato per gli interessi passivi rispetto agli altri componenti negativi del reddito di impresa e pertanto, il diritto alla deducibilità deve essere riconosciuto sempre, senza effettuare alcuna valutazione in merito all’inerenza.
Il comma 5, articolo 109 del Dpr 917/1986, tuttavia, sancisce che le spese e i componenti negativi «diversi dagli interessi passivi, …, sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi» mentre, al secondo periodo, la stessa disciplina introduce una sorta di pro rata di deduzione, nella circostanza in cui il componente negativo si riferisce indistintamente a beni o attività da cui derivano ricavi che concorrono a formare il reddito, in quanto imponibili o esclusi, o che non vi concorrono in quanto esenti. Di conseguenza, non pare si possa affermare che la norma disciplini il principio dell’inerenza, considerato che il secondo periodo del comma 5, articolo 109 si occupa del differente aspetto concernente la riferibilità dei componenti negativi ai proventi imponibili, esclusi ed esenti. La finalità della disciplina è, invece, quella di evitare che i componenti negativi, correlati ai proventi esenti, possano essere dedotti dal reddito. Il secondo periodo, infatti, introduce l’espressione “se si riferiscono” correlata ai componenti negativi di cui al periodo che lo precede, mentre il primo disciplina la deducibilità dei componenti negativi correlati ai componenti positivi di reddito imponibili ed esclusi, al fine di introdurre la regola per cui i componenti negativi relazionati ai proventi esenti sono indeducibili. I proventi esenti, invece, vengono menzionati esclusivamente nel secondo periodo del comma 5, per chiarire che, qualora un componente negativo di reddito sia correlato indistintamente a proventi e ricavi imponibili, esenti ed esclusi, la deduzione viene consentita solo per il tramite di uno specifico pro rata.
La norma contenuta nel comma 5, articolo 109 del Tuir ha, pertanto, esclusivamente la finalità di disciplinare la deducibilità dei componenti negativi di reddito non computabili nella determinazione del reddito d’impresa, in presenza di ricavi e compensi esenti e da ciò si comprende l’infondatezza dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità per il quale gli interessi passivi risulterebbero sempre deducibili per i soggetti Ires «senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza», considerato che tale principio viene individuato nel comma 5, articolo 109 del Tuir il quale stabilisce l’applicazione della disposizione ai componenti negativi «diversi dagli interessi passivi».
La fonte del principio di inerenza non deve essere ricercata in una norma specifica, ma nella stessa struttura giuridica dell’imposizione sul reddito d’impresa, essendo un principio immanente nella determinazione dello stesso che ha lo scopo di fissare una regola generale in forza della quale devono essere fatti confluire, nella determinazione del reddito, i componenti economici che hanno una correlazione con l’attività esercitata dall’imprenditore.

Cassazione, ordinanza 19430 del 20 luglio 2018

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