La sospensiva richiede decisioni veloci
L’esigenza di richiedere al giudice la sospensione dell’atto impugnato deriva dal fatto che l’ufficio, nonostante il ricorso del contribuente, richieda il pagamento di un terzo delle maggiori imposte pretese. Ci sono poi casi in cui viene richiesto l’intero maggiore importo contestato (imposte registro) e addirittura altri in cui sono pretese anche tutte le sanzioni (iscrizione straordinaria, cartelle).
Se si pensa che più di un terzo dei ricorsi (dati del Mef) sono totalmente accolti perché annullano tutta la pretesa dell’ufficio e circa la metà sono parzialmente accolti, ci si rende conto di quanto la sospensiva sia un istituto importante finalizzato anche a evitare il pagamento di somme che poi risultano non dovute.
Per queste ragioni si spera in una maggiore sensibilità ed attenzione dei giudici tributari sia in termini di valutazione della richiesta, sia nella fissazione delle udienze. Altrimenti il rischio è vanificare la tutela effettiva del contribuente in un momento delicato come quello della sospensione feriale.
A fronte infatti di buona parte dei collegi solleciti e puntuali nella fissazione dell’udienza o addirittura a concedere la sospensiva (qualora ne ricorrano i presupposti, anche in via d’urgenza), ce ne sono altri in cui raramente si fissano udienze e altri ancora dove la regola sembra essere di non concederla (con condanna alle spese il contribuente) giustificando la decisione con la motivazione - spesso neanche tanto velata - che così diminuiscono le richieste.
Eppure la norma (articolo 47, comma 2, del Dlgs 546/1992) è perentoria: «Il presidente fissa con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile».
A fronte di una così chiara previsione veramente non si comprende come sia possibile che alcune commissioni sistematicamente facciano trascorrere numerosi mesi, pur dietro solleciti del contribuente, o addirittura omettano del tutto la fissazione, calendarizzando solo l’udienza di merito.
Sulla questione sarebbe auspicabile una maggiore attenzione (critica e meno autoreferenziale) del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria e del Mef.
Occorre tener presente che in alcuni casi il contribuente, per effetto della mancata fissazione dell’udienza. subisce danni gravi, spesso irreparabili, perché ad esempio l’agente della riscossione blocca il pagamento delle Pa o intraprende pignoramenti presso le banche (con tutte le conseguenze del caso) e non si comprende per quale ragione il giudice, che pure è chiamato dalla legge a fissare l’udienza nella prima camera di consiglio utile, ometta tale adempimento trascurando i danni che riceve il contribuente.
Va detto per completezza che per questo tipo di udienze i membri del collegio non ricevono alcun compenso e ciò è singolare. Tuttavia, d’altro canto, occorrerebbe anche riflettere sul fatto che i giudici tributari svolgono il loro ufficio perché si sono volontariamente candidati essendo consci del trattamento economico (iniquo).
Da segnalare infine l’ulteriore beffa: allorché il contribuente, in accoglimento del proprio ricorso, si vede annullare la pretesa del Fisco, per la restituzione di quanto ingiustamente versato (in assenza di sospensiva) nelle more del giudizio, occorrono molti mesi. A parti contrapposte, invece, l’agente della riscossione può pignorare i conti o ipotecare i beni o bloccare gli incassi dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione.