Rientro agevolato dei lavoratori dall’estero a rischio discriminazioni
Il decreto recante misure urgenti per la crescita economica modifica, per l’ennesima volta, le disposizioni di favore previste per il rientro in Italia di lavoratori residenti all’estero (articolo 5 del Dl 34/2019). In particolare, le modifiche proposte al regime degli impatriati di cui all’articolo 16, comma 1 del Dlgs 147/2015 prevedono, per i soggetti che trasferiscono la residenza in Italia, ai sensi dell’articolo 2 del Tuir, a partire dal 2020:
● la riduzione dal 50% al 30% della percentuale di concorso alla formazione del reddito imponibile;
● la semplificazione delle condizioni per accedere al regime fiscale di favore;
● l’estensione dell’agevolazione ai redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e ai soggetti che avviano un’impresa;
● l’incremento dell’agevolazione al ricorrere di determinati requisiti (numero di figli minorenni, acquisto di una unità immobiliare residenziale in Italia, trasferimento della residenza in alcune regioni del Mezzogiorno).
La modifica normativa introdotta dal Dl pone alcuni dubbi interpretativi. Il primo e più rilevante concerne l’entrata in vigore delle nuove (e più favorevoli) disposizioni. Infatti, ai sensi del comma 2, articolo 5 del Dl le nuove disposizioni recate dal comma 1 del medesimo Dl si applicano «ai soggetti che trasferiscono la residenza in Italia ai sensi dell’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto [periodo d’imposta successivo al 2019, n.d.r.]». Ne discende che, stando al tenore letterale della disposizione, ai lavoratori rientrati in Italia anteriormente al periodo d’imposta 2020 dovrebbero spettare le agevolazioni contenute nell’articolo 16, comma 1 del Dlgs 147/2015 nel testo vigente anteriormente alle modifiche da ultimo recate dal Dl. Tale lettura, che appare invero ingiustificatamente penalizzante, pare confermata indirettamente anche dalla lettura del comma 5-ter dell’articolo 16, introdotto dal Dl in commento. Tale norma, infatti, al fine di risolvere (e prevenire) il contenzioso concernente i lavoratori già rientrati in Italia entro il 31 dicembre 2019 che non avevano provveduto ad iscriversi all’Aire, dispone espressamente la “sopravvivenza” della previgente normativa, prevedendo che con riferimento ai periodi d’imposta ancora accertabili (ivi incluso il 2019) «spettano i benefici fiscali di cui al presente articolo (articolo 16, n.d.r.) nel testo vigente al 31 dicembre 2018, purché abbiano avuto la residenza in un altro Stato ai sensi di una convenzione».
Stando al questa ricostruzione, i soggetti che si trasferiscono in Italia a partire dal 2020 (ma lo stesso dovrebbe valere anche per coloro che si trasferiscono in Italia nella seconda metà del 2019 i quali, in base all’articolo 2 del Tuir acquisiscono la residenza a partire dal 2020) potrebbero beneficiare del nuovo (e più favorevole) regime fiscale, mentre i soggetti rientrati nel 2018 ovvero quelli che rientreranno entro la prima metà del 2019 dovrebbero applicare il regime previsto dall’articolo 16 nel testo previgente, il quale non solo richiedeva condizioni di accesso più restrittive, ma prevedeva un regime decisamente meno favorevole giacché, come innanzi rilevato, la percentuale di esonero da imposizione è stata da ultimo elevata dal 50% al 70%. Inoltre, ai soggetti impatriati anteriormente al periodo d’imposta 2020 non potrebbero applicarsi neppure le disposizioni di cui al comma 3-bis e 5-bis dell’articolo 16 che, al ricorrere di particolari condizioni legate al numero dei figli minorenni, all’acquisto di una casa ovvero al trasferimento in determinate regione del mezzogiorno, dispongono l’incremento e/o il prolungamento dell’agevolazione.
Al fine di evitare ingiustificate quanto inopportune discriminazioni sarebbe auspicabile, in sede di conversione del decreto, estendere il nuovo regime (compresa l’eventuale proroga) anche a coloro che abbiano già trasferito la residenza in Italia anteriormente al periodo d’imposta 2020 per i periodi d’imposta residui a cui si applica il regime agevolato.
Da ultimo, si evidenzia che a seguito delle modifiche introdotte, non è chiaro l’attuale ambito applicativo del regime di cui al comma 2 del citato articolo 16 posto che, dopo la semplificazione delle condizioni richieste per accedere al regime agevolato, i soggetti che integrano tutti i requisiti di cui al comma 2 dell’articolo 16 (possesso del titolo di laurea, attività di lavoro o studio all’estero, cittadinanza di uno Stato Ue o di uno Stato extra-Ue con il quale risulti in vigore una convenzione o un accordo che assicuri lo scambio di informazioni in materia fiscale, attività di lavoro svolta in Italia, residenza all’estero per almeno due periodi d’imposta, cfr., Risoluzione n. 51/E del 6 luglio 2018) integrano per definizione anche i requisiti previsti dal nuovo comma 1 del citato articolo 16 il quale richiede soltanto che:
a) i lavoratori non siano stati residenti in Italia nei due periodi d’imposta precedenti al trasferimento;
b) l’attività lavorativa sia prestata prevalentemente nel territorio italiano.
Ci si chiede, pertanto, se sia necessario mantenere il suddetto comma 2 o se non sia opportuno prevederne l’abrogazione, trattandosi di una norma ormai superflua.
Decreto crescita - Dl 34 del 30 aprile 2019