Riforma del fisco, occorre coinvolgere i commercialisti
Il dibattito sulla riforma fiscale è ormai entrato nel vivo. Oggi più che mai, è necessario passare da scelte estemporanee a politiche strutturali per risollevarsi dall’emergenza Covid.
Tuttavia, non è ancora agevole comprendere in quale direzione il Governo intenda andare.
L’impressione è che le riforme saranno comunque parziali e graduali. Infatti, non sembra realizzabile, in tempi brevi, quel salto di qualità da una fiscalità di soccorso, vari bonus e crediti d’imposta, a una fiscalità strutturalmente basata su una drastica diminuzione della pressione fiscale. È pur vero che non necessariamente bisogna cambiare tutto e subito ma di certo occorre rendere chiare le linee di intervento che si intendono realizzare per evitare scottanti delusioni.
L’ipotesi che l’intervento di sistema possa risolversi nella sola riformulazione della progressività dell’Irpef o nell’abolizione dell’Irap mostra tutti i suoi limiti. Il tessuto economico nazionale, infatti, è negli anni mutato significativamente; oggi, nel nostro sistema fiscale si registra una netta prevalenza di piccoli lavoratori autonomi e Pmi a differenza degli anni ’70 in cui la platea dei contribuenti era rappresentata da datori di lavoro/sostituti d’imposta, i quali con il meccanismo delle ritenute alla fonte facevano gran parte del lavoro per conto dell’Erario. Forte appare la necessità di restituire coerenza ai sistemi di tassazione, constatando le inefficienze dell’attuale sistema fiscale sia sotto il profilo sostanziale che procedurale. Inefficienze che, come ben sappiamo, pregiudicano l’equità sociale, l’efficienza economica e la stessa competitività del nostro Paese.
Il documento licenziato dalle Commissioni Finanze di Camera e Senato rimarca, ancora una volta, la necessità di ripartire da due elementi principali: semplificazione delle procedure e riduzione del carico fiscale sui contribuenti.
Considero la “semplificazione” un termine bellissimo ma troppo spesso abusato dal legislatore, declinato per lo più in un aumento esponenziale delle incombenze per i contribuenti. In Italia le imposte sui redditi costituiscono il 29,2% delle entrate e le imposte sul lavoro gravano per il 43 per cento. Non v’è dubbio che al centro di una riforma fiscale è da collocare la riforma radicale dell’imposta personale sui redditi, quale imposta universale, che sarebbe da applicare a tutti i redditi senza distinzioni. Ma per i lavoratori autonomi e piccoli imprenditori un lavoro di restyling sulla struttura di progressività Irpef rischia di essere un esercizio superfluo che, per l’Erario, non risolve il vero problema: ovvero l’elevato tasso di evasione fiscale. Bisogna evitare le ben note distorsioni che hanno indotto ad adottare nel tempo, quale correttivo, varie forme di flat tax sulle rendite finanziarie, sui fitti, sui redditi di imprese minori. Se realmente si vuole perseguire l’obiettivo di un Fisco più equo l’obiettivo non deve essere solo quello di riformulare la progressività Irpef ma porsi in maniera seria e sistematica il problema di una imposta che dovrebbe essere universale ed invece non lo è più finendo per discriminare i contribuenti sia con riferimento ai regimi di tassazione previsti per i lavoratori autonomi rispetto a quelli dipendenti e sia distorcendo il fenomeno impositivo all’interno della stessa categoria del lavoro autonomo per effetto dell’esistenza di un regime di imposizione sostitutiva fruibile solo da taluni e non anche da altri. Nel merito dovrebbero essere conservate e rimodulate le sole detrazioni forfettarie per i redditi di lavoro dipendente, azzerando tutte le altre detrazioni/agevolazioni (circa 602) e ponendo mano alla revisione anche del sistema delle agevolazioni fiscali collegate alla politica di sostegno all’economia nel periodo pandemico e quindi relative alla crescita e produttività e ai consumi, ridisegnando in modo organico e strutturale gli aiuti per favorire l’occupazione, gli investimenti, l’innovazione e la ricerca. E da ultimo, non per importanza, va messa sotto controllo la spesa pubblica.
Ebbene, appare evidente, che se riforma deve essere non si può prescindere da un efficace e concreto coinvolgimento del mondo professionale, attore strategico per il buon fine delle misure attuate dal Governo. Sbagliare un intervento normativo o inseguire il pubblico consenso non è mai una scelta priva di conseguenze.