Imposte

Sì a donazioni sul conto cointestato

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di Angelo Busani e Elisabetta Smaniotto

Il versamento di denaro su un conto bancario cointestato effettuato da uno solo dei cointestatari è una valida donazione indiretta a favore dell’altro cointestatario qualora sia provato che si tratti di un versamento animato da spirito di liberalità; in mancanza di questa caratteristica, il denaro continua ad appartenere al soggetto che lo ha versato e il cointestatario, se lo utilizza comunque sfruttando la possibilità di agire sul conto con firma disgiunta, tiene un comportamento illecito. È quanto deciso dalla Cassazione nella sentenza 4862 del 28 febbraio 2018.

Nella donazione indiretta la liberalità si realizza, anziché attraverso il negozio tipico di donazione (che per la validità richiede la forma notarile), mediante il compimento di uno o più atti (il cosiddetto “negozio-mezzo”) che, conservando la propria forma e natura, realizzano in via indiretta l’effetto dell’arricchimento del destinatario (il cosiddetto “negozio-fine”). Si pensi al padre che, per spirito di liberalità, paga un debito contratto dal figlio con una banca oppure paga il prezzo dovuto dal figlio per l’acquisto di un immobile.

Il regime della forma solenne è proprio solo della donazione “tipica” (o “diretta”) e ha finalità di tutela del donante: la legge circonda di particolari cautele la formazione della volontà di chi decide di spogliarsi, senza corrispettivo, dei suoi averi. Per la validità delle donazioni indirette, invece, è sufficiente l’osservanza delle forme prescritte per il negozio (di solito senza prescrizioni di forma), diverso dalla donazione, che viene utilizzato per realizzare comunque lo scopo di liberalità.

Il versamento di denaro su un conto cointestato, con firme disgiunte, è dunque qualificabile – secondo la Cassazione – come donazione indiretta se la somma sia appartenuta a uno solo dei cointestatari: e ciò in quanto, con il mezzo del contratto di deposito bancario, si realizzi l’arricchimento senza corrispettivo dell’altro cointestatario. Il tutto a condizione che sia verificata la sussistenza dello spirito di liberalità (animus donandi) cioè l’intenzione dell’autore del versamento di arricchire l’altro cointestatario.

La sentenza 4862/2018 si inserisce pertanto nel costante solco delle altre sentenze di legittimità (809/2014, 10991/2013, 26983/2008, 3499/1999) che hanno qualificato come donazione indiretta il versamento di denaro su un conto intestato anche a soggetto diverso da quello che effettua i versamenti. Il concetto è stato ribadito anche dalle Sezioni unite nella sentenza 18725 del 27 luglio 2017, quella che ha invece sancito la nullità, per difetto di forma, della donazione effettuata mediante un “semplice” bonifico bancario, senza atto notarile.

L’osservazione di questa giurisprudenza, peraltro, desta perplessità: non appare granché giustificato che il medesimo gesto economico, e cioè un versamento di denaro, sia qualificabile come donazione diretta nulla se è un bonifico a favore di un terzo e come donazione indiretta valida se è invece l’accredito di un conto cointestato. In entrambi i casi, in realtà, c’è solo un’attività materiale (il versamento) e non un “negozio-mezzo” che, per spirito di liberalità di chi lo pone in essere, genera l’effetto proprio di una donazione, e cioè l’impoverimento del donante e l’arricchimento del donatario. Dunque non sembra infondato sostenere la necessità della forma solenne sia quando si effettua un bonifico favore di un terzo sia quando si accredita un conto cointestato.

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