Controlli e liti

Stop all’esenzione da ritenute se il beneficiario effettivo è la capogruppo

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di Massimo Romeo

È da considerare elusiva quell’operazione in cui un soggetto residente in altro stato si interpone(conduit company) tra un soggetto fiscalmente residente in uno Stato contraente ed un soggetto residente in altro Stato operando non come beneficiario effettivo dei redditi ma essendo stato costituito al solo scopo di ottenere un indebito risparmio fiscale attraverso l’applicazione di regimi convenzionali di esenzione o comunque di indebita riduzione della ritenuta alla fonte prevista dalla normativa domestica.

Rientra in tale fattispecie la condotta tenuta da una società italiana consistente nella non applicazione delle ritenute in uscita sugli interessi passivi corrisposti per finanziamenti ricevuti indirettamente dalla capogruppo olandese per il tramite della consociata belga (mera “conduit”); all’uopo il modestissimo margine riconosciuto dalla capogruppo olandese alla consociata belga per il trasferimento degli interessi pagati dalla società italiana alla consociata belga è prova della sua diretta dipendenza da direzione e coordinamento della stessa capogruppo olandese , effettiva beneficiaria delle somme prive di imposizione fiscale sia in Olanda che in Belgio. Questo il principio emergente dalla sentenza della Ctr Lombardia n. 641/2019 del 12 febbraio.

La pronuncia in commento si inserisce nel solco di quella giurisprudenza che si è trovata a dirimere questioni legate al fenomeno del «treaty shopping» nelle operazioni «back to back» , ovvero caratterizzate da interposizione di un soggetto rispetto all’effettivo beneficiario al solo scopo di ottenere un indebito risparmio fiscale mediante l’applicazione di un regime di esenzione non spettante ( convenzionale o previsto dall’ordinamento domestico); la nota clausola del «beneficiario effettivo» costituisce lo strumento giuridico «principe», presente nella quasi totalità degli accordi internazionali contro le doppie imposizioni, per limitare tali fenomeni.

Il caso di specie riguardava l’impugnazione da parte di una società di capitali (italiana) di un avviso di accertamento emesso dall’amministrazione finanziaria per omesse ritenute d’imposta in virtù della non applicazione delle ritenute sugli interessi passivi corrisposti alla consociata (belga), posseduta al 99% dalla società capogruppo ( olandese); la ripresa fiscale veniva motivata in virtù della dedotta carenza dei presupposti richiesti dalla direttiva Ue (2003/49/CE) per godere del regime di esenzione .

A parere dell’ufficio la consociata belga era una mera società veicolo (conduit) e non la beneficiaria effettiva degli interessi pagati dalla società italiana, ritrasferiti nella misura del 99,875% alla capogruppo olandese, nei confronti della quale pertanto non poteva trovare applicazione l’esenzione dalla ritenuta in Italia ai sensi della normativa domestica (articolo 26 quater, comma 4 , lettera e, Dpr 600/1973), non essendo assoggettati altrove tali proventi ad imposta; in particolare l’amministrazione metteva in evidenza , dal punto di vista della diretta dipendenza della consociata dalla capogruppo , la stipula di un contratto di Ppl (profit partecipating loan) tramite il quale la capogruppo metteva a disposizione della mutuataria ( la consociata belga) un’apertura di credito con diverse variabili sia con riferimento ai tassi che agli obblighi di restituzione.

Per contro la tesi difensiva della parte privata , fra i vari motivi di impugnazione, sottolineava sia il reale scopo della consociata quale società finanziaria captive creata per fornire credito ed altri services alle società del gruppo nonché la sua «indipendenza» in quanto i finanziamenti effettuati erano decisi dalla stessa società che li negoziava autonomamente con le società operative del gruppo.

La Ctp accoglieva il ricorso ed in particolare, su quest’ultimo aspetto, rammentava che «le società conduit sono in linea generale fondate per perseguire fini molto specifici, nettamente circoscritti e di durata limitata ed allo scopo di scorporare i rischi finanziari e/o fiscali; è essenziale che queste società non abbiano legami formali con la casa madre, altrimenti verrebbero riconosciute come parti integranti del gruppo e i loro bilanci dovrebbero essere consolidati, e ciò negherebbe il trasferimento dei rischi e/o benefici fiscali che si vuole operare».

La Ctr decide di riformare la sentenza, accogliendo pertanto il gravame di parte pubblica, proprio in merito alla citata osservazione dei giudici di prime cure; in particolare, secondo il Collegio regionale, il modestissimo margine ( 0,125%) riconosciuto dalla capogruppo olandese alla consociata belga per il trasferimento ( in suo favore ) degli interessi pagati dalla società italiana «è prova della sua diretta dipendenza da direzione e coordinamento della stessa capogruppo olandese, effettiva beneficiaria delle somme prive di imposizione fiscale sia in Olanda che in Belgio».

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