Controlli e liti

Strumento con più garanzie rispetto alla prima versione

di Antonio Iorio

«Chi l’ha visto?». Si sente parlare sempre di meno di redditometro o, più concretamente, della comparazione dei consumi di una persona rispetto ai suoi redditi. Se ancora viene menzionato, è per qualche sentenza della Cassazione che, per ironia della sorte, riguarda in genere vicende legate al “vecchio” istituto e non al nuovo.

Si tratta di una situazione veramente singolare. Infatti, fino al 2009, l’amministrazione poteva determinare i maggiori redditi non dichiarati di una persona fisica collegando il possesso di alcuni beni e facendo calcoli molto approssimativi. Basti solo pensare che il possesso di una casa al centro di Roma o di Milano aveva esattamente la stessa rilevanza di un immobile posseduto nel paesino più sperduto rispettivamente del centro o del nord Italia.

Ed ancora, per le autovetture rilevava la potenza dei cavalli ma non il costo o la marca. Si faceva poi riferimento agli aeromobili ed ai cavalli da corsa (che non possedeva quasi più nessuno) ed alla fine occorreva abbinare tali valori con dei moltiplicatori previsti per decreto

Ma, ciò nonostante, l’amministrazione ha svolto numerosi accertamenti, molti dei quali definiti con pagamenti (spesso ridotti rispetto alle iniziali pretese) ed alcuni, a onor del vero, avallati in termini di legittimità e correttezza anche dalla Cassazione.

In virtù della approssimazione, che caratterizzava il vecchio redditometro, è stato ideato il nuovo, che tiene conto non solo delle nuove procedure di confronto tra fisco e contribuente (quali il contraddittorio obbligatorio per valutare la fondatezza dei dati in possesso dell’ufficio) ma anche, e soprattutto, delle più moderne elaborazioni statistiche. Tali elaborazioni considerano numerose variabili e stili di vita individuando addirittura le «famiglie fiscali». Rilevano così le spese per il tempo libero, lo sport, l’istruzione, i viaggi, i prodotti elettronici, e anche, le elaborazioni Istat sui consumi della popolazione di rispettiva residenza.

La logica è sempre la medesima ma con il supporto di dati di partenza più attendibili e sofisticati: se una famiglia, in un anno, ha speso una certa somma per l’acquisto di beni e servizi è necessario che abbia un reddito disponibile di importo adeguato. In assenza, occorre spiegare come sia stato possibile acquistare quei beni, vivere quotidianamente e mantenere un determinato tenore di vita, senza averne (almeno apparentemente) i mezzi economici sufficienti.

Se le giustificazioni non convincono, allora scatta l’accertamento.

Questa metodologia che, quanto meno, consente di individuare a tavolino, tra tutti i cittadini, situazioni apparentemente singolari e a rischio di evasione, da qualche anno, è sparita ed infatti le varie direttive programmatiche sui controlli la ignorano totalmente. Un po’ come se, una casa automobilistica, dopo aver progettato e collaudato un nuovo prototipo di autovettura decisamente migliore del precedente, prima lo presenti al pubblico e poi lo ritiri dal mercato!

Sicuramente in più di un’occasione gli uffici delle Entrate hanno esagerato nell’ignorare le giustificazioni dei contribuenti quasi a voler giungere sempre e comunque ad un accertamento per incassare somme, anche se basse.

È evidente, però, che non possa essere questa la ragione per la quale questi controlli siano spariti. Così sorge il dubbio che la potenziale individuazione di evasori diffusi (spesso per importi non molto significativi) non rappresenti più una priorità magari per concentrarsi esclusivamente sui medi e grandi contribuenti, o, ancora, che una massiccia campagna in tal senso porti a diffuse disapprovazioni con possibili ricadute anche in termini di perdita di consenso politico.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©