Terzo settore, attività secondarie senza prevalenza sulle principali
Con la riforma del Terzo settore andranno in soffitta alcune disposizioni che finora hanno regolato, talvolta anche sovrapponendosi, le attività commerciali svolte dalle Onlus e, in particolare, dalle organizzazioni di volontariato, allo scopo di sostenere le finalità principali dell’ente.
È il caso delle attività commerciali «connesse» (per le Onlus) e delle «marginali» ( per le organizzazioni di volontariato, che sono anche Onlus di diritto) che, a partire dal nulla osta della Commissione europea, verranno regolate dal nuovo codice del terzo settore (Cts). In particolare con l’articolo 6 verrà fornita una disciplina unitaria, per tutti gli enti del terzo settore (Ets), relativa alle «attività secondarie e strumentali rispetto all’attività di interesse generale». Si tratta di tutte quelle attività ulteriori rispetto a quelle istituzionali, aventi carattere accessorio e non prevalente, che assorbiranno anche le attività connesse oggi riferite alle sole Onlus. Con riferimento a queste ultime la circolare 168 del 1998 a suo tempo ha chiarito che «il concetto di accessorietà per natura o di attività integrative comporta che l’attività di reperimento dei fondi non può costituire un’autonoma attività, ma deve svolgersi nel contesto dell’attività istituzionale e in stretta connessione con quest’ultima». Le nuove attività “secondarie e strumentali”, rappresentano, dunque, un naturale completamento di quelle istituzionali, senza le quali queste ultime non potrebbero essere realizzate.
Dal punto di vista quantitativo le attività secondarie, siano esse di natura commerciale o meno, non potranno prevalere rispetto a quelle principali secondo “criteri e limiti” che sarà il decreto attuativo ad individuare (articolo 6). Qualora le risorse anche volontarie e gratuite impiegate nelle attività secondarie superino quelle relative all’attività di interesse generale, l’ente perderà i requisiti per l’scrizione nel registro, nei limiti di quanto sarà precisato dal decreto attuativo sopra citato, da emanarsi entro un anno dalla entrata in vigore del Cts (articolo 101, comma 12). Le attività secondarie saranno rilevanti anche ai fini della qualifica della natura dell’ente che potrà essere definito non commerciale tenendo conto della prevalenza delle attività profit (sia di carattere principale che secondario) rispetto a quelle non commerciali. Ai fini della suddetta verifica di prevalenza queste ultime includeranno le sovvenzioni, le liberalità, le quote associative dell’ente e ogni altra entrata assimilabile alle precedenti tenendo conto del valore normale delle cessioni o prestazioni afferenti attività svolte con modalità non commerciali. Al fine di agevolare l’attività degli enti non profit il legislatore ha specificato che nel calcolo della prevalenza non si dovrà tenere conto delle attività di sponsorizzazione. Queste ultime, dunque, benché di carattere commerciale ed assoggettate a tassazione (anche forfetariamente su opzione dell’ente) non concorreranno al calcolo della prevalenza tra attività profit e non profit.
Tra le attività non commerciali da considerare ai fini del calcolo della prevalenza si dovrà tenere conto, anche delle attività marginali, svolte dalle organizzazioni di volontariato in base al Dm 25 maggio 1995 e ora regolate, a seguito della riforma, dall’articolo 84 del nuovo Cts. A differenza delle attività connesse, quelle marginali sono definitive solo dal punto di vista qualitativo in base alle modalità operative che, in ogni caso, non devono prevedere l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini concorrenziali sul mercato. Si tratta, dunque, di attività che, sebbene sotto il profilo oggettivo presentano le caratteristiche della commercialità, mantengono, dal punto di vista fiscale, il proprio status non commerciale a prescindere dall’attività concretamente svolta dalla organizzazione di volontariato.