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Una riduzione temporanea delle aliquote Iva può essere meno efficace di aiuti diretti ai settori

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di Francesco D'Alfonso

In questi giorni, viene spesso prospettato un intervento sulla misura delle aliquote Iva al fine di contrastare le conseguenze negative sul piano economico legate all’emergenza Covid-19.
Al riguardo, va evidenziato innanzitutto che gli Stati membri della Unione europea possono applicare una o due aliquote ridotte Iva, non inferiori al 5%, alle forniture di beni e servizi rientranti nelle categorie di cui all’allegato III della direttiva 2006/112/Ce.

L’ambito di applicazione delle aliquote ridotte, in particolare, dovrebbe essere determinato da ragioni di interesse sociale (per compensare il carattere talvolta regressivo dell’Iva) nonché a favore dei consumatori finali, fermo restando che l’applicazione delle stesse non deve dar luogo a distorsioni di concorrenza nella Ue.

L’Iva infatti è un’imposta sui consumi, neutrale, plurifase e ad ampio spettro, e la sua finalità principale è quella di generare entrate fiscali, che il singolo Stato membro destinerà poi ai vari usi secondo le proprie priorità.

In realtà, nel corso degli anni le aliquote Iva ridotte sono state spesso utilizzate, all’interno dei singoli Stati membri, anche ai fini politici, distribuendole secondo motivazioni di carattere elettorale ai vari settori dell’economia, in ragione delle difficoltà che gli stessi hanno di volta in volta dovuto affrontare.

In situazioni di questo tipo si entra poi in un circolo vizioso, dal momento che, da un lato, i settori che beneficiano dell’aliquota ridotta si opporranno alla sua abolizione e, dall’altro, coloro che non ne usufruiscono faranno pressioni affinchè vengano agevolati anche altri beni o servizi.

In particolare, l’applicazione di un’aliquota ridotta ad un determinato bene/servizio ha come presupposto il fatto che tale intervento sarebbe in grado di incidere sul prezzo dello stesso e aumentare la competitività del settore.

Tale ultima affermazione tuttavia non è quasi mai del tutto vera e le rilevazioni statistiche effettuate nel corso degli anni nei vari Stati membri sembrano confermare ciò. Innanzitutto, non è detto che una riduzione delle aliquote Iva per un bene/servizio condurrà ad una riduzione dei prezzi corrispondente.

La determinazione dei prezzi infatti dipende da numerosi elementi (es: margine di utile applicato, qualità del prodotto, eccetera), per cui l’aliquota Iva applicata ha in realtà solo un’incidenza trascurabile e altresì temporanea su di essa.

Inoltre, anche se il prezzo del bene/servizio si dovesse effettivamente modificare non è scontato che tale variazione porti ad un forte aumento della produzione, e quindi dell’occupazione, poiché questo dipenderà dall’elasticità della domanda alla variazione del prezzo, fermo restando che, in questo caso, non potrà non considerarsi anche l’impatto della variazione del prezzo su gli altri beni/servizi. Per queste ragioni, la riduzione dell’aliquota Iva rischierebbe di tradursi, sostanzialmente, in un sussidio per le imprese del settore.

Ciò nondimeno, se è incerto l’effetto della diminuzione dell’aliquota Iva sulla competitività del settore, tale diminuzione determinerà (certamente) una perdita di gettito fiscale per l’Erario. Conseguentemente, appare preferibile ricorrere, per il settore che si vuole agevolare, ad altri strumenti di intervento (ad esempio riduzioni di imposte dirette), più efficaci e certi nel risultato, utilizzando a tal fine il gettito fiscale da destinarsi alla diminuzione dell’aliquota Iva.

Tuttavia, in alcune circostanze un’aliquota Iva ridotta potrebbe costituire uno strumento utile in settori caratterizzati da specifiche strutture economiche. Si fa riferimento, in particolare, ai settori in cui i servizi possono essere facilmente sostituiti al di fuori del mercato, ricorrendo al lavoro in nero oppure perché (auto) forniti direttamente dal consumatore finale.

In tali settori, l’elevata imposizione, Iva e non, rende infatti molto oneroso acquistare questi servizi (ad esempio, piccole riparazioni, servizi di ristorazione) sul mercato, favorendo le citate modalità alternative di produzione. I settori interessati sono quelli dei «servizi prestati localmente», ossia dei servizi che non possono essere forniti a distanza, che si rivolgono essenzialmente al mercato locale dei consumatori finali e in cui fornitore e destinatario si trovano nella stessa zona geografica ristretta, per i quali la riduzione delle aliquote Iva non dovrebbe avere implicazioni negative per il funzionamento del mercato interno. Ebbene, in tali settori aliquote Iva più basse potrebbero essere in grado di contrastare queste dinamiche, magari congiuntamente all’introduzione di altre misure fiscali, agevolando il trasferimento delle attività verso il mercato.

Chiaramente, i benefici derivanti dalla diminuzione delle aliquote Iva potrebbero essere maggiori e più visibili laddove tale riduzione fosse significativa. Anche in questo caso, tuttavia, l’intervento sulla misura dell’aliquota Iva, comunque (per i motivi sopra riportati) temporaneo, andrebbe valutato insieme ad altri strumenti alternativi, al fine di individuare la soluzione ottimale per il settore interessato.

Una sovvenzione diretta al settore in difficoltà, ad esempio, potrebbe costituire un’opzione più efficace rispetto a quella della riduzione dell’aliquota Iva, anche se la stessa presenta, chiaramente, maggiori difficoltà politiche, poiché più trasparente e riconoscibile.