Controlli e liti

Nel processo tributario il Codice di procedura civile non si applica tout court

La Cassazione taglia fuori l’articolo 399

di Carlo Ferrari e Sonia Schillaci

Con l’ordinanza 1233 del 21 gennaio 2020, la Cassazione esclude l’applicabilità nel processo tributario dell’articolo 399 del Codice di procedura civile, in quanto «disposizione non richiamata da quelle che disciplinano il giudizio di revocazione dinanzi alle Commissioni tributarie».

L’ordinanza
La pronuncia, sebbene involga l’istituto della revocazione, offre spunto per delle riflessioni in ordine al discrimen tra l’ambito di applicazione del codice del processo tributario e quello del processo civile, come noto regolamentato dall’articolo 1, comma 2 del Dlgs 546/92, in base al quale i giudici tributari devono applicare le norme del decreto e - per quanto da esse non disposto e con esse compatibili - e quelle del Codice di procedura civile.
Su questo punto la Suprema corte afferma che le disposizioni normative sulla revocazione di cui al Dlgs 546/1992 (articoli 64-67) non contemplano l’onere a carico del ricorrente di allegare copia della sentenza impugnata per la revocazione, essendo sufficiente l’indicazione in ricorso dei suoi estremi. In relazione a questo aspetto, rileva l’errore in cui era incorsa la Ctr nel dichiarare l’improcedibilità del ricorso per revocazione a causa del mancato deposito in realtà prescritto dall’articolo 399 del Codice di procedura civile.

Il caso
Nello specifico, l’articolo 64 del Dlgs 546/1992 («Sentenze revocabili e motivi di revocazione») disciplina i casi di revocazione, distinguendo tra revocazione ordinaria (comma 1) e straordinaria (commi 2 e 3). Tale norma traspone nel codice processual-tributario le disposizioni di cui agli articoli 395 e 396 del Codice; mentre l’articolo 65, al pari dei successivi articoli 398 e 399, disciplina le modalità di proposizione del ricorso per revocazione.

In base al quando disposto ne consegue che:

la Commissione competente a decidere è la stessa che ha pronunciato la sentenza impugnata;

il ricorso per revocazione deve contenere tutti gli elementi prescritti per l’appello e, del pari, deve essere notificato a tutte le parti in causa e depositato presso la segreteria della Ctr adita, secondo le modalità di cui all’articolo 22, comma 1, 2 e 3 del Dlgs 546/1992.

Il principio
In conclusione, l’impugnazione di una sentenza tributaria per revocazione segue in toto la disciplina del codice del processo tributario, in quanto la sua completezza in materia non lascia spazio a ultronei rinvii al Codice di procedura civile. Di conseguenza, il ricorrente non ha alcun onere di allegare (a pena di improcedibilità) la sentenza revocanda, a differenza di quanto accade nel processo civile. Difatti, in virtù del richiamo contenuto nell’articolo 65 alle norme disciplinanti il giudizio d’appello tributario, è la segreteria della Ctr che, d’ufficio, deve acquisire al fascicolo la copia autentica della sentenza di cui si richiede la revocazione (così come in appello acquisisce d’ufficio il fascicolo di primo grado contenente copia autentica della sentenza appellata).

La revocazione
A questo punto, una breve chiosa sia concessa. Il legislatore del 1992 ha inteso disciplinare le modalità di proposizione della “revocazione tributaria” in maniera autonoma rispetto al giudizio civile e lo ha fatto, ex professo, tenendo conto della natura di «impugnazione-merito» che è propria del rito tributario (come noto diretto all’emissione di una decisione sostitutiva del provvedimento impositivo, volta a ricondurre la pretesa tributaria nella corretta misura). In ragione di questa natura, perciò, la revocazione, dacché mezzo orientato al «discoprimento di una verità», assume ulteriore peculiarità rispetto al processo civile, in quanto indispensabile a garantire il rispetto del principio costituzionale di capacità contributiva declinato nella forma della giusta imposizione tributaria.

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