Controlli e liti

Dalla Germania arriva la nuova lista Dubai

Il Fisco tedesco compra un dossier con milioni di dati

di Alessandro Galimberti

Altre liste, altri dati fiscali in libero commercio nel mercato sempre più “globale”. Il governo tedesco ha confermato ieri le anticipazioni giornalistiche di Der Spiegel dichiarando di aver acquistato da una fonte anonima i dati di «milioni» di persone con beni a Dubai. Acquisto portato a termine (legittimamente secondo le leggi tedesche) non solo per perseguire illeciti di cittadini e residenti in Germania, ma anche a vantaggio di altre amministrazioni fiscali che ne faranno richiesta. Questo dossier, spiega una nota ministeriale, «contiene informazioni su milioni di contribuenti in tutto il mondo e diverse migliaia di tedeschi con attività a Dubai». Le informazioni, che sarebbero state pagate 2 milioni di euro, sono già state trasmesse ai Länder di competenza. I dati relativi ai contribuenti stranieri saranno ugualmente «messi a disposizione dei paesi interessati», ha detto Maren Kohlrust-Schulz, direttore delle autorità fiscali tedesche.

Ora, come già in passato, si ripropone il tema dei rischi per contribuenti italiani potenzialmente coinvolti in questo nuovo caso di spying internazionale (sostanzialmente, l’utilizzabilità dei dati acquisiti). Detto che in Italia l’acquisto di dati fiscali da fonti anonime, da gole profonde, da collaboratori di giustizia etc. non ha una base giuridica - e quindi l’agenzia delle Entrate non lo ha mai fatto né prevedibilmente lo farà in futuro - cosa diversa è l’acquisizione rituale e formale dalle autorità estere di atti di provenienza pur non chiarissima. Su questo punto la giurisprudenza di Cassazione è stabilissima, nel senso di permettere un utilizzo pieno come «indizio» (ma non come «prova») a partire dal 2015, quando la Sezione tributaria con due sentenze agostane gemelle (16950 e 16951) sdoganò definitivamente le liste Falciani. A legittimare i dati provenienti da un’autorità straniera, sostiene da allora la Cassazione, è la Direttiva 77/799/CE del Consiglio sull’assistenza nel settore delle imposte. Fermo restando che il giudice nazionale «apprezza liberamente» i dati ricevuti, e che il contribuente può contestarli nel contraddittorio, resta il fatto che la semplice trasmissione “autentica” non può purgare eventuali vizi o illlegittimità originari. Ma il tema, oggi come e più di allora, è che il segreto bancario non costituisce un principio inderogabile e, al dovere di segretezza della banca, «non corrisponde nei singoli clienti delle banche una posizione giuridica soggettiva costituzionalmente protetta, nè un diritto della personalità» poichè quel segreto, semmai, tutela «l’obiettivo della sicurezza e del buon andamento dei traffici commerciali, che non può spingersi però fino al punto di farne un ostacolo» al dovere (costituzionale) di ogni cittadino di «contribuire alle spese pubbliche. La giurisprudenza europea pur ipotizzando l'operatività dell’articolo 6 della Cedu (diritto a un equo processo) anche in materia fiscale, scrive la Corte, «l’utilizzazione processuale di prove illegalmente acquisite non costituisce di per se stessa violazione, dovendosi valutare se l’intero giudizio, nel suo complesso e nel concreto, sia improntato al giusto processo»

Peraltro la stessa giurisprudenza costituzionale tedesca - sul caso della “lista Vaduz” - escluse l’utilizzabilità della prova illegittimamente acquisita «soltanto nei casi in cui viene invaso il nucleo incomprimibile dell’organizzazione della vita privata».

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