Controlli e liti

Accertamento presuntivo, il giudice deve valutare la prova contraria

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di Roberto Bianchi

Nell’ambito dell’accertamento tributario afferente l’imposizione diretta e l’Iva, la disciplina prescrive che l’insussistenza di passività dichiarate o le rappresentazioni fasulle possono essere dedotte anche in forza di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza che sussista la necessità, da parte dell’amministrazione finanziaria di fornire prove “certe”. Di conseguenza, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è chiamato a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi prodotti dall’agenzia delle Entrate, fornendo nella motivazione i risultati del proprio giudizio e, in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, è tenuto ad ammettere alla sua valutazione la prova contraria offerta dal contribuente, il quale ne risulta essere onerato.

A tale conclusione è giunta la corte di Cassazione attraverso l’ ordinanza n. 30190/2017 depositata in cancelleria il 15 dicembre 2017. Una srl impugnava un avviso di accertamento con cui l’agenzia delle Entrate aveva contestato maggiori ricavi ai fini Irpef, Irap e Iva. L’accertamento era basato sul fatto che la società aveva venduto appartamenti e un garage a un prezzo superiore a quello indicato nei relativi atti di compravendita. La Ctp di Ancona accoglieva parzialmente il ricorso riducendo le sanzioni. Proposti appello principale e incidentale da parte della società contribuente e dell’agenzia delle Entrate, la Ctr delle Marche li rigettava entrambi.

Avverso la sentenza della Ctr, la srl ha proposto ricorso per Cassazione mentre l’agenzia delle Entrate si è costituita in giudizio mediante controricorso. Con motivo di ricorso la società ha dedotto la violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 cpc, comma 1, n. 3, in relazione al Dpr n. 600 del 1973, articolo 39, sostenendo che gli accertamenti svolti e le verifiche effettuate non hanno evidenziato elementi che fossero in grado di assurgere a presunzioni con le specifiche caratteristiche di gravità, precisione e concordanza richieste dalla legge.

Ciò in quanto i contratti preliminari, che erano stati rinvenuti presso la banca che aveva concesso agli acquirenti i mutui per l’acquisto degli immobili, erano privi di rilevanza probatoria, sia perché non recavano la sottoscrizione dei promissari acquirenti, sia perché erano stati prodotti, nella fase di accertamento con adesione, due preliminari sottoscritti da entrambe le parti che recavano il medesimo prezzo indicato negli atti notarili. Inoltre l’agenzia delle Entrate si era avvalsa di una doppia presunzione in quanto, sulla base delle presunzioni dell’esistenza dei preliminari riguardanti due immobili e della perizia di stima degli stessi nonchè dello scarso reddito dichiarato, aveva presunto la sottofatturazione in relazione anche agli altri appartamenti venduti.

Il collegio ha accolto il ricorso in quanto la Cassazione aveva già affermato il principio dagli stessi condiviso, secondo il quale «in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta, che all’Iva, la legge - rispettivamente del Dpr 29 settembre 1973, n. 600, articolo 39, comma 1 (richiamato dal successivo articolo 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) e del Dpr 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 54 - dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’ufficio fornisca prove “certe”.

Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma solo per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli articoli 2727 cc e seguenti e articoli 2697 cc, comma 2» (Cassazione n. 14237 del 07/06/2017 e Cassazione n. 9784 del 23/04/2010).

Nel caso di specie la Ctr, con valutazione di merito, ha ritenuto che gli elementi presuntivi forniti dall’ufficio costituissero presunzioni gravi, precise e concordanti del fatto che il prezzo indicato nei due atti di acquisto risultava essere inferiore a quello effettivamente pagato ma non ha esplicitato le ragioni per le quali non ha ritenuto di prendere in considerazione altri contratti preliminari asseritamente sottoscritti da entrambe le parti e nei quali il prezzo indicato corrispondeva a quello indicato nell’atto. Ciò facendo la Ctr ha omesso di valutare la prova contraria offerta dalla contribuente, incorrendo così nel denunciato vizio.

A parere dei giudici di piazza Cavour, inoltre, la Ctr ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento anche avuto riguardo ad altre unità immobiliari vendute dalla contribuente a terzi con applicazione presuntiva del medesimo prezzo. Tuttavia, operando in questo modo, la Ctr è incorsa nel divieto della cosiddetta “praesumptio de praesumpto”, non potendosi valorizzare una presunzione come fatto noto, per derivarne da essa un’altra presunzione (Cassazione, n. 5045 del 09/04/2002).

Invero dall’esistenza dei due preliminari e delle perizie attinenti a due immobili nonchè dalla scarsità del reddito dichiarato (fatto noto) la Ctr ha fatto derivare la simulazione del prezzo delle compravendite (fatto ignoto) e da tale fatto ha fatto derivare l’ulteriore presunzione che anche per gli altri immobili fosse stato incassato un prezzo superiore a quello indicato negli atti di acquisto. Per contro, l’unico fatto noto su cui si basava la presunzione di sottofatturazione per gli altri immobili era la scarsità del reddito dichiarato, elemento che, da solo, non è stato ritenuto sufficiente a sostenere la legittimità dell’atto impositivo.

Cassazione, ordinanza n. 30190/2017

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