Imposte

Affitti concordati, per il Fisco non serve una nuova attestazione se cambiano canone o inquilino

L’interpretazione della circolare 15/E è favorevole al contribuente ma pare andare oltre il dettato della legge e può generare contestazioni quando l’agevolazione dipende dai requisiti soggettivi

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di Marcello Tarabusi

Per la detrazione relativa agli affitti concordati il proprietario può utilizzare la precedente attestazione, anche se stipula un nuovo contratto con un altro inquilino o con un canone diverso da quello del contratto attestato.

La nuova attestazione e il contenuto dell’accordo

È questa l’interpretazione offerta dalla circolare 15/E del 19 giugno scorso per l’applicazione della nuova disciplina introdotta dal decreto Semplificazioni. Il Dl 73/2022 ha introdotto infatti una importante innovazione: dal 2022 il «bollino» apposto al contratto dalle associazioni di categoria può essere fatto valere per tutti i contratti di locazione, stipulati successivamente al suo rilascio, aventi il medesimo contenuto, fino ad eventuali variazioni delle caratteristiche dell’immobile o dell’accordo territoriale del comune a cui essa si riferisce.

Non era chiaro cosa si intendesse per «medesimo contenuto» del contratto ed era inevitabile che l’intervento normativo creasse grattacapi interpretativi (si veda l’articolo «Affitti concordati: attestazione valida per più contratti, ma la semplificazione è un rebus» su NT+ Fisco).

L’agenzia delle Entrate, discostandosi dall’opinione maggioritaria dei commentatori, ritiene che tanto la modifica del canone, quanto quella dell’inquilino non richiedano una nuova attestazione.

Il cambio di inquilino

È condivisibile che il puro e semplice cambio di conduttore non configuri una modifica al contenuto: al «contenuto del contratto» fa riferimento l’articolo 1322 del Codice civile, secondo il quale le parti sono - al contrario - coloro che tale contenuto determinano.

Talvolta però i requisiti soggettivi (ad esempio la qualità di studente) possono modificare il trattamento fiscale. Alcuni accordi locali modulano poi il canone in base alle qualità del conduttore: familiari conviventi, numero di figli, genitore single e così via. In tal caso l’attestazione rilasciata per un contratto non può applicarsi de plano ad un nuovo conduttore con caratteristiche diverse. Altri fanno l’esempio della locazione a extracomunitari, per cui è obbligatorio verificare il permesso di soggiorno.

Ma quando si tratta di requisiti che il fisco può verificare direttamente, su basi documentali, e senza necessità né di competenze specifiche, né di indagini complesse, non vi è ragione per esigere che vengano “attestate” da un organismo sindacale.

Ben diverso è se con la persona cambiano anche le caratteristiche di riferimento: certamente un contratto di locazione ad uno studente non può essere sostituito, senza nuova attestazione, con uno per esigenze abitative transitorie. Ma in tal caso, a ben vedere, si tratta di modifiche che incidono anche sul contenuto, non solo sulla persona.

La modifica del canone

Codice civile alla mano, la modifica del canone attiene per definizione al “contenuto” del contratto. L’Agenzia sembra però adottare una interpretazione teleologica della legge speciale: l’attestazione serve ad assicurare che siano state verificate le caratteristiche strutturali dell’immobile e la loro corrispondenza all’accordo locale. Pertanto, sinché non si modifichino le une o l’altro, il “bollino” resta valido. Unica condizione: che il canone «rimanga entro il limite stabilito dall’accordo territoriale indicato nell’attestazione stessa». Se l’attestazione in possesso del contribuente non indica tale limite massimo, questa potrà essere usata solo se il canone è pari o inferiore a quello precedente. Se il canone aumenta, e dall’attestazione non emergano gli elementi per verificare che esso rientra nei limiti, sarà necessario procurarsene una nuova.

La tesi dell’Agenzia, pur nel meritevole intento di deregolamentazione, non pare conforme al sistema della legge. Non solo perché, come si è ricordato, il canone è senza dubbio parte del «contenuto economico» del contratto; ma anche perché la Cassazione (sentenza 27022/2016) ha stabilito che non tutte le difformità rispetto al contratto-tipo fanno perdere il beneficio fiscale, ma solo quelle tali da «modificare significativamente l’assetto di interessi» tra le parti. Chi può stabilire se le difformità sono marginali o sostanziali? Certamente non gli uffici in sede di controllo formale.

Conclusione: quando serve davvero una nuova attestazione?

La conclusione più ragionevole è allora che, in assenza di modifiche all’accordo locale o alle caratteristiche dell’immobile:

● l’attestazione non occorre se cambia l’inquilino, ma non il tipo di contratto (ad esempio, studente con studente), ovvero se cambia anche il canone, ma sulla sola base degli elementi indicati nella prima attestazione è possibile verificare ictu oculi che anche il nuovo canone è conforme all’accordo locale;

● serve sempre la nuova attestazione quando cambia il tipo di contratto (ad esempio da abitazione 3+2 a uso transitorio, oppure da uso studente ad altro uso transitorio);

● la nuova attestazione è comunque consigliabile, checché ne dica l’Agenzia, ove il testo del nuovo contratto contenga modifiche alle clausole «non marginali», ossia tali da non stravolgere l’equilibrio contrattuale. Trattandosi di un accertamento non banale, nel dubbio sempre meglio investire in una nuova attestazione piuttosto che rischiare un onere ben maggiore in caso di contestazione delle agevolazioni.

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