Contabilità

Anche le nuove norme Ue puntano sull’allerta

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di Alessandro Solidoro

Nuove norme europee perfettamente coerenti con i principi ispiratori del Codice della crisi d’impresa italiano. Il 6 giugno Consiglio dell’Ue ha adottato la direttiva sui «quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione, le interdizioni e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione di insolvenza ed esdebitazione», modificando la direttiva Ue 2017/1132 in materia di insolvenza.

Viene riaffermata la finalità di consentire agli imprenditori sani che sono in difficoltà finanziaria di accedere ad istituti che consentano di continuare ad operare e a quelli onesti ed insolventi di beneficiare in termini ragionevoli di una seconda opportunità, anche attraverso una riduzione della durata delle procedure concorsuali. Non passa sotto silenzio la circostanza che strumenti di ristrutturazione tempestiva possono prevenire l’accumulo di crediti deteriorati.

Il legislatore europeo è consapevole che le soluzioni preventive sono una tendenza in crescita nelle legislazioni degli Stati membri, favorendo il risanamento a discapito dell’approccio liquidatorio. La prima domanda da porsi è quale sia il grado di compatibilità tra la nuova direttiva e il nuovo Codice della crisi italiano. Su un tema che tanto sta scatenando il dibattito nazionale, anche la direttiva sottolinea l’importanza di meccanismi di allerta che, ad esempio, possono essere attuati quando il debitore non ha effettuato alcuni pagamenti, come imposte o contributi.

La direttiva si pone, come dovrebbe fare il legislatore nazionale, il tema della proporzionalità rispetto alle dimensioni dell’impresa. Infatti, si sancisce il principio per il quale gli Stati membri dovrebbero essere in grado di adottare gli strumenti di allerta precoce in funzione delle dimensioni dell’impresa.

Secondo punto di contatto è che, per indurre il debitore a chiedere tempestivamente la ristrutturazione del debito, si sottolinea l’opportunità che i debitori mantengano il controllo dei loro attivi e della gestione corrente dell’impresa. L’intervento di un professionista esperto di ristrutturazione dovrebbe essere obbligatorio quando sia concessa una sospensione generale delle azioni esecutive individuali o quando esistono altre condizioni specifiche, come il pagamento parziale dei debiti.

Questa giusta enfasi sulla fase preventiva di redazione del piano e di trattativa sembra restituire un ruolo adeguato all’istituto del concordato in bianco, che l’attuale normativa nazionale ha fortemente limitato. Dove si ravvede un elemento di criticità è nella circostanza che la direttiva invita gli Stati membri a prevedere che la sospensione delle azioni esecutive possa essere accordata, salvo casi particolari, per un periodo di quattro mesi, estendibile fino a un massimo di dodici mesi. L’esperienza nazionale dice che il termine di quattro mesi è in genere incompatibile sia con le esigenze procedurali che con i tempi ordinari dei meccanismi decisionali dei soggetti coinvolti.

In conclusione, una prima lettura della nuova direttiva conferma l’assoluta coerenza dei principi ispiratori con la recente normativa nazionale. Le indicazioni di tempi stringenti di alcune fasi della procedura, sia da parte della norma europea da un lato e di quella italiana dall’altro, suscita preoccupazione negli operatori, nel momento in cui l’efficienza dei soggetti deputati al governo della crisi tardasse ad essere raggiunta o la cultura della gestione dei propri diritti da parte dei creditori qualificati non si orientasse rapidamente verso la prevalente valutazione della convenienza economica delle proposte di ristrutturazione avanzate dal debitore.

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