Autonomi, spese effettuate per gli incarichi fuori dai compensi in natura
Le spese relative all’esecuzione di un incarico professionale sostenute direttamente dal cliente in favore del professionista non costituiscono più compensi in natura.
È questa una delle principali novità contenute nell’ articolo 8 della nuova legge a tutela del lavoro autonomo , la quale cancella anche le limitazioni alla deducibilità delle spese di vitto e alloggio anticipate dal professionista e riaddebitate in fattura.
Entrambe le novità sono in vigore dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2017 (con il primo impatto sul modello Redditi 2018) e potranno trovare riscontro in sede di determinazione degli acconti previsionali.
L’intervento legislativo si sostanzia nella modifica dell’articolo 54, comma 5 del Tuir, recante la disciplina per la deduzione delle spese relative a prestazioni alberghiere e somministrazioni di alimenti e bevande, ordinariamente concessa nel limite del 75% del costo, per un importo comunque non superiore al 2% dell’ammontare dei compensi percepiti nel periodo d’imposta.
Prima delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 175/2014, la norma consentiva di superare le limitazioni con riferimento alle spese sostenute direttamente dal cliente per conto del professionista e da questi indicate in fattura.
In conformità alla procedura descritta dall’agenzia delle Entrate nella circolare 28/2006, e al fine di beneficiare della deducibilità integrale delle spese, il fornitore del servizio di vitto o alloggio (ad esempio, il ristoratore) doveva emettere fattura intestata al committente, annotando sul documento i riferimenti del professionista che ne aveva fruito. Il cliente doveva quindi comunicare al professionista l’ammontare della spesa sostenuta per consentire a quest’ultimo di emettere fattura comprensiva della suddetta spesa.
Fiscalmente tali somme assumevano per il professionista un duplice aspetto. Da un lato, infatti, costituivano un compenso in natura da assoggettare a tassazione ordinaria, dall’altro costituivano costi di cui era comunque consentita la deduzione (colonna 1 del rigo RE15 presente nella vecchia modulistica).
Dal 2015 le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande acquistate dal committente non costituiscono più compensi in natura. Il professionista beneficiario, pertanto, non è più tenuto ad indicare tali spese, le quali rappresentano costi di esercizio del committente che le ha sostenute, deducibili in base ai criteri generali di competenza e inerenza.
Con una successiva modifica, il decreto legge 193/2016 (articolo 7-quater, comma 5) ha ricompreso nell’ambito di applicazione della disciplina anche le prestazioni di viaggio e trasporto, superando così l’interpretazione restrittiva fornita dall’agenzia delle Entrate con la circolare 31/2014.
La novità è in vigore dal 2017 ma è destinata ad essere superata dalla modifica introdotta dal Jobs act degli autonomi, che estende ulteriormente l’ambito di applicazione della norma, ricomprendendovi «tutte le spese relative all’esecuzione di un incarico conferito e sostenute direttamente dal committente».
La novità, come già accennato, interviene anche sul trattamento fiscale delle spese di vitto e alloggio sostenute direttamente dal professionista per lo svolgimento dell’incarico e da questi riaddebitate in fattura, eliminando la disparità di trattamento che continuava a sussistere rispetto al caso precedentemente esaminato. Se da un lato, infatti, il riaddebito delle somme costituisce un compenso tassabile, dall’altro la deduzione delle spese era vincolata al doppio limite di cui all’articolo 54, comma 5, (75% degli oneri entro il limite complessivo del 2% dei compensi).
La norma prevede la disapplicazione di tali limiti a partire dal periodo d’imposta 2017, garantendo così la neutralità fiscale in capo al professionista rispetto a quanto previsto nel caso in cui sia il cliente a farsi carico delle spese.