Contabilità

Bilancio, il costo ammortizzato mette alle corde i crediti

di Giorgio Gavelli

Mancano chiarimenti sul trattamento fiscale dei crediti valutati al costo ammortizzato, criterio di valutazione previsto al comma 1 dell’articolo 2426 del Codice civile con decorrenza dai bilanci 2016. In particolare, per quanto riguarda i crediti di durata superiore a 12 mesi e non già contabilizzati all’inizio dell’esercizio 2016, le società che redigono il bilancio ordinario (per i bilanci abbreviati e le micro-imprese si tratta di una facoltà) si trovano a trattare i costi di transazione (se di rilievo) non più come “meri” costi accessori ma come componenti del complessivo onere finanziario dell’operazione, e ad applicare l’attualizzazione. Quest’ultima, che scatta laddove il tasso di interesse desumibile dalle condizioni contrattuali sia significativamente diverso dal tasso di mercato, comporta per il creditore commerciale, operativamente, l’iscrizione del credito al valore attualizzato e la “riqualificazione” di una parte corrispondente di ricavo (ma non di corrispettivo Iva) in interessi attivi, che maturano per competenza sino all’incasso.

Questa impostazione contabile è rilevante fiscalmente, in virtù del principio di derivazione rafforzata (articolo 83, comma 1, del Tuir). Ma sorgono almeno due problemi di difficile soluzione.

Il primo problema attiene all’applicazione dell’articolo 106, comma 1, del Tuir, e, quindi, al calcolo della svalutazione crediti: su quale valore applicare le percentuali dello 0,5% e del 5% previste da tale disposizione? Secondo una prima tesi, non dovrebbe cambiare nulla rispetto al passato, in quanto l’articolo 106 del Tuir si riferisce, letteralmente, al valore “nominale” dei crediti, tesi forse giustificabile con il fatto che il rischio di perdita continua a gravare sul valore nominale.

Tuttavia, esiste un’altra impostazione. Secondo Assonime (Circolare n. 14/2017, par. 2.3.2) e l’Associazione Dottori Commercialisti (Aidc, Circolare n. 16/2017), al di là del dato letterale sembrerebbe logico ritenere che il legislatore abbia inteso riferirsi al valore fiscalmente riconosciuto dei crediti che, per l’appunto, era tradizionalmente coincidente con il costo di acquisto o con il valore nominale del credito, ma che, attualmente, per le imprese Oic, dovrebbe essere quello che risulta dall’applicazione del costo ammortizzato (previa eventuale attualizzazione). Peraltro, il ragionamento di Assonime sembra particolarmente calzante in presenza di costi di transazione (che incrementano il credito), ma un po’ meno in presenza di attualizzazione.

Va anche considerato che l’articolo 2, comma 1, lettera a) del Decreto 3 agosto 2017 rende applicabile alle imprese Oic adopter (non micro-imprese) l’articolo 2, comma 3, del Dm 1° aprile 2009 n. 48, secondo cui i limiti di cui all’articolo 106, commi 1 e 3, del testo unico non si applicano alle differenze emergenti dalla prima iscrizione dei crediti ivi previsti. Ciò, tuttavia, dovrebbe semplicemente significare che all’ammontare scorporato dai crediti (e dai ricavi) per effetto dell’attualizzazione non si applica il limite dello 0,5% (in tal senso cfr. Circolare n. 7/E/2011, rivolta, all’epoca, ai soggetti Ias). Per cui il dubbio sulla base di calcolo rimane, anche se la Relazione al Decreto del 3 agosto potrebbe essere decisiva a livello interpretativo laddove precisa che ai fini Ires è ora riconosciuta «la diversa qualificazione della prima iscrizione dei crediti ad un valore divergente da quello nominale».

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