Adempimenti

Cassazione altalenante sull’Irap delle micro imprese

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di Alessandro Borgoglio

Sono ancora diversi i fronti aperti sull’Irap delle micro e piccole imprese, nonostante i numerosi arresti di legittimità e qualche tentativo di comporre delle linee guida.
Uno dei problemi maggiori riguarda attualmente le imprese familiari. La Suprema Corte, in passato, aveva sempre stabilito che la collaborazione dei partecipanti all’impresa familiare integra quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore (o valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare (etero-organizzazione dell’esercente l’attività), sicché deve ritenersi in tal caso integrato il presupposto impositivo dell’Irap, ovvero l’autonoma organizzazione ( Cassazione 12626/2016, 22628/2014 e 10777/2013).

Nel 2016, però, le Sezioni Unite hanno stabilito che, invero, il requisito dell’autonoma organizzazione ricorre quando il contribuente:

a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse;

b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell’impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive (Sezioni Unite 9451/2016).

La Suprema Corte, quindi, con l’ordinanza 17429/2016, applicando il principio elaborato dalle Sezioni Unite, ha disatteso la sua pregressa consolidata posizione, stabilendo che anche per gli imprenditori familiari occorre valutare quanta e quale collaborazione viene fornita dai familiari per verificare l’eventuale assoggettamento a Irap.
Con la successiva Cassazione 24060/2016, però, i giudici di legittimità sono tornati sui loro passi, confermando nuovamente l’impostazione precedente all’arresto delle Sezioni Unite dello stesso anno.
Con l’ultima pronuncia in materia - proprio quest’anno - è stato ancora confermato l’orientamento storico, per cui è stato ritenuto soggetto a Irap un agente di commercio con un collaboratore familiare: la moglie che svolgeva attività di segreteria (Cassazione 15217/2019).
Insomma, la faccenda dell’assoggettabilità all’Irap dell’imprenditore familiare è ancora tutta da risolvere.

Qualche dubbio, però, esiste anche per i promotori finanziari. Con la Cassazione 12929/2019 è stato stabilito che, qualora un promotore finanziario abbia sostenuto costi elevati, incompatibili con la mera attività personale, ma sicuri indici dell’esistenza di una struttura di appoggio a detta attività, deve ritenersi sussistente il requisito dell’autonoma organizzazione; inoltre, il fatto che la maggior parte dei costi sia relativo al compenso di “segnalatori”, e non di sub-agenti o collaboratori interni od esterni del contribuente, non è idoneo a disattendere la sussistenza di detta organizzazione.
Eppure appena qualche arresto prima la stessa Cassazione aveva stabilito che il valore assoluto dei compensi e dei costi del promotore finanziario e il loro reciproco rapporto percentuale non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione (Cassazione 12929/2019).
È dirompente, poi, la recentissima Cassazione 27167/2019, per cui la sola presenza di una segreteria e di collaborazioni esterne può essere sintomatica dell’autonoma organizzazione del promotore finanziario (tutte conclusioni che ben possono estendersi anche agli agenti di commercio).

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