Cautele rafforzate per l’estrazione di prodotti «italiani»
Per l’estrazione dei beni dal deposito Iva sono state modificate le procedure e introdotti nuovi adempimenti. Innanzitutto, come in passato, essa compete solo a soggetti passivi d’imposta, ma non è più previsto che si tratti di operatori iscritti alla Camera di commercio da almeno un anno, né che debbano dimostrare l’effettiva operatività e regolarità dei versamenti Iva (vincoli che, comunque, non hanno mai trovato attuazione in mancanza del relativo provvedimento delle Entrate).
Il riferimento ai «soggetti passivi», quali operatori autorizzati a estrarre i beni per il loro utilizzo/commercializzazione in Italia, andrebbe comunque inteso in senso lato, considerando tali anche gli operatori non residenti dotati di rappresentante fiscale o identificati Iva in Italia (risoluzione 89/E/2010).
Saranno invece diversificate le modalità di assolvimento dell’imposta, a seconda della provenienza dei beni:
beni introdotti a seguito di acquisto intracomunitario. In questo caso, non cambia nulla e l’imposta è assolta integrando la fattura d’acquisto intracomunitario con indicazione dei servizi prestati durante la giacenza (fra cui quelli resi dal gestore del deposito) e annotando la variazione in aumento e in diminuzione nei registri Iva vendite e acquisti (circolare 12/E/2015, paragrafo 7.3);
estrazioni seguite da cessioni intracomunitarie o all’esportazion e. Anche in questo caso, non cambia nulla e si continuano a seguire le regole attuali;
estrazione di beni che erano già in Italia all’atto dell’introduzione nel deposito. In questo caso, le regole sono del tutto nuove. L’imposta è dovuta dal soggetto che estrae, ma è versata a suo nome e per suo conto dal gestore del deposito, il quale ne è anche solidalmente responsabile (come lo è per la sanzione del 30% in caso di omesso versamento).
In questo caso, in pratica, il depositario agisce in veste di “sostituto”, con la conseguenza che chi estrae dovrà fornire al gestore la provvista (o altrimenti garantirlo), non essendo possibile effettuare compensazioni in base all’articolo 17, Dlgs 241/97.
La norma parla di versamento e, pertanto, non dovrebbero rilevare l’Iva detraibile nel periodo dell’estrazione né le eccedenze precedenti (peraltro difficilmente verificabili dal gestore), anche se una conferma ufficiale è opportuna.
Se chi estrae è esportatore abituale, può utilizzare il plafond previo invio della lettera d’intento alle Entrate che rilasciano la ricevuta telematica (verosimilmente da consegnare al gestore che la dovrà riscontrare). Inoltre, l’operatore emette autofattura, da annotare solo sul registro acquisti ai fini della detrazione, unitamente ai dati della ricevuta di versamento consegnata dal gestore. Se è stata utilizzata la lettera d’intento, si ritiene che l’autofattura debba riportarne gli estremi.
L’obbligo di versamento opera anche per l’estrazione dal deposito di beni introdotti per effetto di un’immissione in libera pratica (beni extraUe). Ciò, tuttavia, vale dal prossimo 1° aprile e solo fino a quando non sarà emanato il decreto previsto dal nuovo comma 6 dell’articolo 50-bis, Dl 331/93. Tale decreto dovrà stabilire i casi e le modalità di prestazione dell’idonea garanzia che tuteli l’Erario in caso di mancata applicazione del reverse charge al momento dell’estrazione dei beni, precedentemente introdotti nel deposito senza pagamento dell’Iva all’atto dell’importazione. In assenza del decreto, dal 1° aprile, si dovrà versare l’Iva all’atto dell’estrazione.
Resta da capire se tale garanzia sostituisca o si aggiunga a quella già prevista per tali operazioni dall’articolo 50-bis, comma 4, lettera b).