Imposte

Compensi agli amministratori, la deduzione è variabile

di Gianfranco Ferranti

La società deduce i compensi degli amministratori nel periodo d’mposta in cui sono accreditati ai beneficiari, applicando il principio della «cassa allargata». Inoltre, possono essere dedotti i compensi attribuiti ai top manager delle società partecipate ma non quelli per gli amministratori “di comodo”. Questo il quadro che emerge dai principi enunciati dalla Corte di cassazione nelle sentenze 20033/2017, 7860/2016 e 18448/2016. (LEGGI I PUNTI CHIAVE)
Il principio di cassa
L’articolo 95, comma 5, del Tuir stabilisce che i compensi spettanti agli amministratori sono deducibili nell’esercizio in cui sono corrisposti, al fine di evitare che l’impresa deduca i compensi anticipatamente rispetto al momento della loro erogazione (nel quale sono imponibili in capo agli amministratori). Per rispettare questo principio l’agenzia delle Entrate ha affermato – nella circolare 57/E del 2001 – che, pur in assenza di un’esplicita previsione normativa, i compensi erogati entro il 12 gennaio di ciascun anno concorrono alla formazione del reddito d’impresa dell'anno precedente. È stato, cioè, applicato lo stesso criterio della «cassa allargata», di cui all’articolo 51, comma 1, secondo periodo, del Tuir, valevole in sede di determinazione del reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, nell’ambito del quale rientrano i compensi percepiti dagli amministratori. La Cassazione ha ribadito questo principio nella sentenza 20033/2017, nella quale ha anche precisato che se il compenso è pagato tramite bonifico bancario la società può dedurlo «nell’esercizio in cui le somme sono accreditate al beneficiario, senza che rilevi la data della disposizione o della valuta», perché «fino al momento dell’effettivo passaggio al beneficiario, la disposizione bancaria è suscettibile di essere stornata e revocata, indice che un potere dispositivo è ancora in capo al disponente». Il principio della «cassa allargata» non si ritiene, però, applicabile qualora l’attività rientri nell’oggetto della professione esercitata dall'amministratore (come nel caso del dottore commercialista), in quanto tale criterio non riguarda il reddito di lavoro autonomo e i compensi restano, pertanto, deducibili dalla società in base all’ordinario criterio di cassa, cioè nel periodo d’imposta di effettiva corresponsione. Si applica, invece, anche in questo caso il chiarimento riguardante il pagamento tramite bonifico bancario, avendo l’agenzia delle Entrate affermato un analogo criterio nella circolare 38/E del 2010 (punto 3.3.). Per la società assume, però, rilevanza, ai fini dell’obbligo di effettuare la ritenuta, il momento in cui le somme sono uscite dalla propria disponibilità. La Cassazione ha, altresì, precisato che se i compensi sono corrisposti in contanti rileva «il momento della consegna, corredato dalla relativa ricevuta confirmatoria da parte del ricevente», mentre se il pagamento avviene tramite assegno bancario o circolare rileva la data apposta sullo stesso.
Amministratori «di comodo»
La Suprema corte ha sancito, nella sentenza 18448/2016, l’indeducibilità dei compensi attribuiti agli amministratori qualora si tratti di «figure di comodo senza reale potere decisionale», perché non è sufficiente, ai fini della deducibilità di un costo, che venga fornita la prova della sua effettiva sussistenza, ma è necessario che sia dimostrata anche l’inerenza all’attività imprenditoriale, intesa come «coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa». Gli amministratori non hanno, infatti, svolto le loro mansioni, in quanto privi di reali poteri decisionali.Sempre la Cassazione, nella sentenza 7860/2016, ha invece ritenuto esente da vizi logici la motivazione della sentenza di merito, che aveva ritenuto inerenti i compensi erogati dalla holding agli amministratori di vertice delle società controllate in vista della loro dismissione, trattandosi di «un’attività aggiuntiva svolta a vantaggio esclusivo della società capogruppo».

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