Diritto

Con il nuovo Codice della crisi di impresa la bancarotta non cambia

Secondo la Cassazione con l’introduzione delle nuove norme non c’è stata depenalizzazione

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di Giovanni Negri

Con il nuovo Codice della crisi non c’è stata depenalizzazione. Non cambiano cioè i presupposti civilistici del reato di bancarotta. Lo chiarisce la Cassazione con la sentenza n. 4772 della Quinta sezione penale depositata ieri. Bollato quindi con l’inammissibilità il ricorso presentato dalla difesa di un imputato contro la pena, peraltro oggetto di patteggiamento, cui era stato condannato per avere riportato nei bilanci di esercizio di una Srl dichiarata fallita fatti non corrispondenti a verità, nascondendo perdite tali da annullare il patrimonio netto, provocando così il dissesto della società. L’unico motivo alla base dell’impugnazione era costituito dal cambiamento della legge extrapenale messa a fondamento dei fatti di bancarotta fraudolenta: determinante sarebbe stata l’approvazione del nuovo Codice della crisi, decreto legislativo n. 14 del 2019 di riforma della Legge fallimentare, e, in particolare, degli articoli 389 e 390.

La risposta della Cassazione è netta, non c’è stata abolitio criminis. Tra l’altro, le norme civilistiche di riferimento neppure sono entrate in vigore, visto che lo saranno solo dal prossimo 15 agosto. In ogni caso, il nuovo Codice della crisi è in dichiarata continuità con le fattispecie penali antecedenti. E neanche la difesa ha sostenuto l’applicazione della, questa sì nuova, causa di non punibilità per tenuità del fatto oppure della relativa attenuante per coprire la condotta dell’imprenditore che, in un contesto di danni di relativa gravità, si è attivato con l’Ocri e comunque per una soluzione concordata della crisi.

Quanto poi alla disciplina civilistica, che di quella penale rappresenta un presupposto, la sentenza della Cassazione sottolinea come le novità siano più terminologiche che di sostanza. A venire sostituito è il termine «fallimento» con «liquidazione» e a venire distribuiti diversamente sono compiti e poteri del giudice delegato, del curatore, dei creditori e del soggetto interessato e le diverse scansioni processuali.

Non abbastanza per fare ritenere che sia stato investito da un significativo cambiamento anche il presupposto dell’«insolvenza dell’impresa» sul quale si fondano le norme penali che, infatti, sono rimaste inalterate, tranne nell’aggiornamento del lessico dei nuovi presupposti di applicabilità.

Il ricorso è così giudicato inammissibile, tanto più poi che il Codice di procedura penale lo ritiene possibile contro la sentenza di patteggiamento solo per motivi che riguardano l’espressione della volontà dell’imputato, il difetto di collegamento fra la richiesta e la sentenza, l’erronea qualificazione del fatto, e l’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

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