Contabilità

Concordato con apporto di terzo senza procedimento competitivo

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di Emanuele Artuso e Renato Bogoni

Nella pianificazione di concordati preventivi fondati sulla prosecuzione dell’attività aziendale si è assistito, in tempi recenti, al frequente utilizzo del seguente assetto: la soddisfazione dei debiti avviene mediante l’apporto di un terzo, che sottoscrive un aumento di capitale sociale a lui riservato (tipicamente, ciò viene condizionato all’avverarsi di alcune condizioni tra cui, di norma, spicca l’intervenuta definitiva omologa del concordato preventivo).

La principale questione giuridica sottesa a tali schemi riguarda la possibilità di applicare agli stessi l’articolo 163-bis della legge fallimentare, ossia l’obbligo di aprire un procedimento competitivo che, letteralmente, la norma impone per i piani basati sulla dismissione di aziende (o di specifici beni) a favore di un soggetto determinato. Invero, secondo un certo orientamento giurisprudenziale (Tribunale Torino, 19 giugno 2018; Tribunale Alessandria, 14 dicembre 2017), la ratio sottostante all’introduzione dell’articolo 163-bis (ottenere la massima recovery da parte dei creditori tramite il divieto di elaborare “proposte chiuse”) dovrebbe estendere l’ambito di applicazione della norma coinvolgendo tutti gli schemi che contemplano, in qualche modo, la traslazione del valore economico dell’azienda in crisi a un terzo; quindi, non solo le proposte in cui i singoli beni (o rami aziendali) della società siano destinati a un potenziale acquirente individuato.

Secondo chi scrive, invece, risulta ragionevole limitare l’applicabilità dell’articolo 163-bis alle specifiche ipotesi colà delimitate, non solo alla luce di un mero criterio di interpretazione letterale della disposizione, ma anche perché ciò è ampiamente suffragato tanto dalla lettura sistematica del corpus di disposizioni introdotto dal Dl 83/2015 (in specie il nuovo articolo 163), quanto dalla sempre maggiore attenzione attribuita dalla normativa fallimentare all’obiettivo di salvaguardare la continuità d’impresa.

Le massime notarili

Peraltro, i profili giuridici dell’aumento di capitale con esclusione del diritto di opzione, riguardanti l’ambito delle procedure di concordato, sono già stati approfonditi dalla massima n. 58 del Consiglio notarile dei Distretti Riuniti di Firenze Pistoia e Prato.

A tale proposito, si osserva che il legislatore del 2015, nell’introdurre l’articolo 163-bis della legge fallimentare, ha al contempo previsto, in altra e contigua disposizione (articolo 163, comma 5, ultimo periodo), la possibilità per creditori qualificati (che rappresentino almeno il 10% dei crediti) di acquisire il controllo della società tramite un aumento di capitale riservato che la norma, in modo inequivoco: tale assetto non è sottoposto a meccanismi competitivi di sorta ma solo al voto dei creditori.

La norma da ultima richiamata, seppur di portata generale, è da intendersi ispirata alla proposta concorrente presentata dai creditori e intende evitare che, attraverso la sottoscrizione di percentuali minime di capitale da parte dei soci attuali, venga avvilita la creazione di un nuovo assetto proprietario basato sull’assunzione di una partecipazione totalitaria da parte del creditore proponente.

Insomma, ciò che il legislatore ha espressamente previsto non è soltanto una “diluizione” dei soci, ma (anche) una loro integrale estromissione qualora il patrimonio netto (senza contare le rinunzie dei creditori effettuate con il concordato) abbia assunto valore negativo. Ciò appare coerente con la ratio di impartire un nuovo impulso proprietario e gestionale all’impresa, promuovendo il “cambio” della compagine che non ha saputo pilotare al meglio l’attività con soggetti auspicabilmente in grado di dare atto al risanamento.

Ebbene, il citato documento dei Notai esclude, con dovizia di argomentazioni, che l’articolo 163, comma 5, ultimo periodo, debba essere letto come ostativo, per la stessa società proponente, a fondare il piano di concordato su un aumento di capitale con esclusione del diritto d’opzione.

La giurisprudenza

A questo punto, vale la pena sottolineare che l’insieme delle considerazioni elaborate dalla giurisprudenza maggioritaria e dal citato documento notarile si inserisce armonicamente nel nostro ordinamento giuridico, il quale anche in altri ambiti stabilisce che il trasferimento d’azienda venga disciplinato in modo affatto diverso dal trasferimento della proprietà partecipativa.

A mero titolo esemplificativo si pensi che, in materia giuslavoristica, è escluso che ai fini della continuità o della cessazione del rapporto siano rilevanti i trasferimenti partecipativi: non a caso, secondo la Suprema corte il trasferimento di quote di maggioranza non integra i presupposti del trasferimento di azienda ex articolo 2112 del Codice civile, in quanto non concreta un fenomeno traslativo vero e proprio bensì una vicenda rilevante solo dal punto di vista della modificazione degli assetti partecipativi, ferma restando la soggettività giuridica di ogni società anche se eterodiretta (sul punto, Cassazione 15 ottobre 1991, n. 10829; 26 novembre 1994, n. 10068; 18 aprile 2007, n. 9251; 12 marzo 2013, n. 6131).

Più in generale, non va sottovalutata, sul piano sistematico, l’intrinseca attitudine dell’aumento del capitale sociale a garantire il risanamento aziendale e in tal senso a godere di una normazione opportunamente indirizzata. Infatti, pare ragionevole affermarne una sorta di “trasversalità” nel nostro ordinamento, se ad esempio si ricorda che, assecondando un consolidato orientamento Consob, il riformato artiolo 106, comma 5, del Dlgs n. 58/1998 (in uno con l’articolo 49 del Regolamento Emittenti Consob) afferma, in linea di principio, che l’obbligo di offerta pubblica di acquisto non sussiste se il superamento della soglia rilevante si realizza in presenza di una ricapitalizzazione e la società versa in una situazione di crisi certificata oggettivamente. Ciò in quanto – in estrema sintesi – vi è già stata una formale ammissione a procedure concorsuali o un accordo di ristrutturazione in base all’articolo 182-bis della legge fallimentare.

In definitiva, pare corretto concludere che, al concordato con continuità diretta in cui la società debitrice preveda il coinvolgimento di nuovi soci nella compagine sociale mediante aumento di capitale con esclusione del diritto d’opzione, non si rende applicabile l’articolo 163-bis della legge fallimentare; ciò, come illustrato, non solo alla luce della chiara formulazione letterale recata da quest’ultima norma, ma anche alla luce del chiaro e maggioritario orientamento assunto dalla giurisprudenza, attenta a valorizzare il dato sistematico, e della diversità degli effetti giuridici implicati dal trasferimento di un’azienda ovvero di una partecipazione.

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