Controlli e liti

Confische antimafia, dubbi sugli adempimenti chiesti all’amministratore giudiziario per il passato

di Sandro Cavaliere e Giovanbattista Tona


L’agenzia delle Entrate interviene sulla sorte dei crediti erariali in caso di sequestro e confisca antimafia di aziende ma fissa direttive inerenti gli obblighi degli amministratori giudiziari che destano perplessità sul piano giuridico non meno che su quello pratico.

La risoluzione 114/E del 31 agosto scorso doveva chiarire quali crediti erariali si estinguono per confusione dopo il sequestro in base al principio fissato dall’articolo 50 del Codice antimafia (decreto legislativo 159/2011) e, quindi, quali imposte non devono essere più pagate in seguito alla confisca dell’impresa. L’Agenzia ha affermato che solo i crediti Irpef o Ires, maturati dopo il sequestro, si estinguono per confusione perché lo Stato creditore acquisendo l’azienda finisce per identificarsi con il debitore. Non viene meno la dualità del rapporto obbligatorio invece per i crediti Irap, Iva o relativi a ritenute. Ugualmente non si estinguono i crediti previdenziali o quelli nei confronti di enti diversi dallo Stato.


Con la risoluzione, l’Agenzia ha anche fissato gli adempimenti fiscali a carico dell’amministratore giudiziario. Assimilandoli a quelli del curatore dell’eredità giacente, come aveva fatto già la circolare 156/E del 7 agosto 2000, le Entrate hanno stabilito che egli deve curare le dichiarazioni anche per i periodi di imposta precedenti al sequestro, per i quali non siano scaduti i termini di legge.


Tuttavia, ciò che attiene ai crediti anteriori al sequestro segue una particolare disciplina nel Codice antimafia. Se il legislatore avesse voluto affidare all’amministratore giudiziario anche gli adempimenti fiscali relativi ai periodi precedenti al sequestro, avrebbe semplicemente affermato nell’articolo 51, comma 2, che egli deve attenersi alle disposizioni previste dall’articolo 187 del Tuir e dall’articolo 5, comma 5-ter, del Dpr 322/1988.


La stessa circolare 156/E del 2000 aveva avvertito che l’assimilazione dell’attività dell’amministratore giudiziario a quella del curatore dell’eredità giacente doveva avvenire «con le dovute distinzioni», essendo similare all’eredità giacente solo per la gestione di un patrimonio separato e per l’amministrazione per conto di chi spetta da parte del curatore.


Sotto l’aspetto pratico si tratterebbe di imposte maturate e di competenza del periodo precedente al sequestro, che per gli effetti previsti dagli articoli 52 e seguenti del decreto legislativo 159/2011 non possono essere liquidate dall’amministratore giudiziario e sarebbero oggetto di estinzione per confusione in caso di confisca definitiva. Se il sequestro venisse revocato, non mancherebbero gli strumenti per il fisco per accertare e sanzionare eventuali violazioni per omesso pagamento e/o mancato adempimento da parte del preposto per il periodo precedente al sequestro. Il Codice antimafia all’articolo 55 sospende per i crediti maturati prima del sequestro l’azione civile di esecuzione, ma non quella di ricognizione, per cui anche per i crediti tributari l’azione di accertamento non è affatto preclusa, dovendo l’amministratore giudiziario al più collaborare con l’ufficio accertatore e se del caso con l’autorità giudiziaria competente qualora si ravvisassero casi di ulteriore punibilità penale.


Resta poi da chiedersi come debba comportarsi l’amministratore giudiziario che si immetta in possesso di aziende con bilanci di esercizio non veritieri o inattendibili e le cui scritture contabili risultano essere artificiosamente alterate; o quando i precedenti rappresentanti legali o titolari dei beni in sequestro non hanno assolto sino a quel momento agli adempimenti fiscali o alla liquidazione delle imposte correnti. Il caso non è infrequente e la risoluzione sembra non averlo tenuto presente.

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