Contabilità

Continuità anche con nuova gestione

di Enrico Comparotto

Dopo il varo del concordato con continuità aziendale era sorto un acceso dibattito sul concetto di «continuità». Se parte di dottrina e giurisprudenza aveva ritenuto che la continuità non potesse prescindere da una prosecuzione anche soggettiva dell’impresa, escludendo, tra l’altro, ogni ipotesi di affitto “ponte” (Tribunale di Terni, 28 gennaio 2013), per altri l’istituto poteva trovare applicazione più ampia, estesa alle ipotesi di piani in cui l’azienda si trovasse a operare senza soluzione, anche se con gestione di terzi - se del caso mediante affitto interinale - a condizione che la cessione fosse prevista come obbligatoria nella proposta (Tribunale di Monza, 11 giugno 2013; Tribunale di Mantova, 19 settembre 2013).

Nella pratica, la diversa interpretazione della natura del concordato proposto poteva, al più, implicare la necessità di integrare la proposta con l’attestazione che il proseguimento dell’attività aziendale avrebbe comportato il miglior soddisfacimento del ceto creditorio. Ma la riforma alla Legge fallimentare apportata dal Dl 83/2015 ha introdotto un requisito di ammissibilità che, improvvisamente, ha tracciato un solco dagli evidenti risvolti pratici.

Il solco è tra una proposta di concordato liquidatorio, per assicurare il pagamento dei creditori chirografari in percentuale non inferiore al 20% - come da articolo 160, comma 4, della Lf - e una proposta di concordato in continuità, i cui termini di soddisfacimento previsti per i chirografari, seppur da ritenersi vincolanti (Tribunali di Alessandria, 18 gennaio 2016; Lecco, 10 luglio 2015; Monza, 13 febbraio 2015), non prevedono percentuali minime inderogabili. Con tale modifica il legislatore sembra dunque operare nella direzione di assegnare alla procedura concordataria lo scopo prioritario della preservazione delle strutture produttive e aziendali (Tribunale di Piacenza, sentenza 26 ottobre 2012).

Muovendosi in un quadro normativo propenso a favorire manovre di ristrutturazione per salvaguardare, ove possibile, la continuità aziendale, la più recente giurisprudenza si è quindi orientata verso una definizione più ampia di continuità, intesa in senso oggettivo, tale da non essere esclusa anche nell’ipotesi in cui l’azienda sia stata affittata ad altro imprenditore anche prima della domanda di concordato (Tribunale di Udine, 5 maggio 2016). Perché, come ricorda il Tribunale di Alessandria (provvedimento del 22 marzo 2016), ciò che conta è che l’azienda risulti in esercizio - anche ad opera di terzi - tanto al momento dell’apertura della procedura di concordato, quanto all’atto del successivo trasferimento.

Risolto dunque ogni possibile dubbio sulla compatibilità dell’affitto (quale strumento “ponte” in attesa di una vendita competitiva), con la proposta di concordato in continuità, permangono profili di criticità sulla concreta applicazione dei meccanismi competitivi e, soprattutto, sul rischio che la stipula di un affitto prima dell’avvio del concordato risponda proprio all’intento di eludere i criteri previsti dall’articolo 163-bis della Legge fallimentare.

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