Controlli e liti

Costi pluriennali: fatture, e-mail e contratti contro i controlli lunghi

L’impatto della sentenza 8500/2021 delle Sezioni Unite

di Laura Ambrosi

La sentenza 8500/2021 delle Sezioni Unite della Cassazione ha stabilito che ai fini dei termini di decadenza, per l’autonomia di ciascun periodo di imposta, l’Amministrazione finanziaria può rettificare la quota di costo pluriennale anche se la relativa acquisizione risalga a decenni addietro (si veda l’articolo).

L’applicazione di questo principio comporta conseguenze pratiche per il contribuente non sempre di agevole gestione. Le Sezioni Unite hanno sostanzialmente fondato la propria decisione nel presupposto che sia del tutto normale conservare i documenti contabili per dimostrare la deducibilità del costo sostenuto anni prima.

Di prassi, però, i verificatori non si limitano a riscontri meramente cartolari del documento contabile ma, attraverso le più diverse presunzioni, contestano l’inerenza, l’antieconomicità ovvero nelle ipotesi più gravi anche la fittizietà dell’operazione. Si verifica, infatti, che la fattura non è sufficiente per dimostrare la veridicità o l’inerenza di un determinato costo, poiché potrebbero occorrere anche i relativi contratti, commesse, mail o comunque la più diversa documentazione al fine di provare la pertinenza e la veridicità di quel determinato componente.

Si pensi, ad esempio, alla contestazione del valore di avviamento dopo 10 anni dall’acquisizione della relativa azienda: secondo i verificatori, poiché i risultati generati negli anni successivi sono stati negativi, si è trattato di un acquisto antieconomico e da qui sono state riprese le quote di ammortamento limitatamente agli anni ancora accertabili.

Tuttavia, tali conclusioni sono possibili (anche ove si ritenessero fondate) solo grazie a una valutazione postuma, non certo effettuabile al momento di acquisizione di un bene. È evidente, però, che al fine di giustificare l’inerenza dell’acquisto, il contribuente deve documentare la scelta operata anni ed anni prima.

Analoghe difficoltà potrebbero sussistere se l’amministrazione finanziaria contesti a un privato l’inesistenza di parte delle opere edilizie eseguite in passato per le quali ha beneficiato del credito di imposta, ancor di più la sovrafatturazione. Verosimilmente, il contribuente oltre alle relative fatture, dovrebbe provare l’esecuzione delle opere, i contatti con l’impresa, l’effettivo valore di quanto eseguito (decenni prima) l’acquisto dei materiali, le concessioni edilizie, i progetti ecc.

La situazione non migliora se si è in presenza di «ricavi pluriennali». Si pensi a un imprenditore individuale che ha ceduto l’unica azienda e ha deciso di ripartire in 5 esercizi la relativa plusvalenza: applicando il principio delle Sezioni unite dovrebbe essere possibile per l’Ufficio accertare una maggior plusvalenza anche se già decaduto il potere di controllo per l’anno di cessione e quindi recuperare le maggiori imposte sulle quote imputate negli esercizi successivi.

Dagli esempi sopra riportati appare evidente che quanto sostenuto nella sentenza sembra mal conciliarsi con la funzione propria della decadenza che, per conferma della Corte costituzionale, è una garanzia volta a non esporre il contribuente «senza limiti temporali, all’azione esecutiva del fisco, in quanto ciò non è consentito dall’articolo 24 della Costituzione» (tra tutte le sentenze 107/2003, 352/2004 e 247/2011).

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