Imposte

Da tutelare le operazioni nei nuovi Paesi «black»

di Nicola Fasano e Paolo Meneghetti

In alternativa alla dimostrazione che la partecipata estera non risiede in un Paese black list è possibile applicare la Pex se si dimostra che dalla partecipazione estera non si è conseguito l’effetto di delocalizzazione del reddito in Paesi favoriti da particolari legislazioni fiscali.

Per tale dimostrazione, fino al 6 ottobre 2015, si doveva attivare l’interpello, mentre attualmente quest’ultima procedura è solo una facoltà e non più un obbligo, mentre obbligatoria è la segnalazione del mancato interpello (o con risposta negativa) nel modello Redditi. La mancata indicazione della fruizione della variazione diminutiva Pex senza aver inoltrato interpello o avendolo inoltrato ed avendo conseguito risposta negativa costituisce una violazione sanzionata a norma dell’articolo 8, comma 3-ter, del Dlgs 471/1997 pari al 10% delle plusvalenze conseguite dal soggetto residente e non indicate, con un minimo di 1.000 euro e un massimo di 50.mila euro.

Il tema della delocalizzazione è stato affrontato dal Dm 429/2001, articolo 5, espressamente richiamato, nella sua attuale validità, dalla stessa circolare 35/E/2016. Anzitutto va segnalato che le ipotesi previste nel decreto devono ritenersi solo esemplificative e non esaustive , come ha affermato la circolare 51/E/2010, quindi un certo spazio autonomo di manovra resta in capo al contribuente.

È opinione di chi scrive che dovrebbe essere valutata con atteggiamento diverso la posizione della società che si insedia all’estero tramite la controllata per fruire di agevolazioni fiscali, rispetto alla ipotesi in cui chi esegue l’operazione possa dimostrare che l’investimento è stata una scelta motivata da considerazioni commerciali, aziendali, o, a maggior ragione, è stata indotta a tale soluzione dal proprio maggiore partner commerciale.

Infine non potrà sfuggire la situazione abbastanza paradossale in cui versa una società che , nel momento in cui abbia eseguito l’investimento nella società estera, con le regole applicabili all’epoca (cioè black list formalizzata) non aveva problemi di territorialità ai fini Pex, problemi che invece sono sorti dopo l’investimento a seguito della modifica del regime black list. In tal caso si ritiene che debba essere apprezzato il fatto che la eventuale localizzazione in un Paese a fiscalità privilegiata sia un effetto oggettivamente sopravvenuto e non conseguito ab origine sulla base di un disegno elusivo, anche alla luce di quanto previsto, seppur solo per i dividendi, dalla legge di Bilancio 2018 .

In questo senso è importante richiamare proprio la modifica normativa intervenuta che prevede una deroga alla tassazione integrale dei dividendi percepiti da società black list: ebbene questa deroga consiste proprio nel ritenere tassabili alla ordinaria percentuale del 5%, quegli utili se maturati quando la società estera non compariva tra i soggetti black list. Ragioni di equità dovrebbero ispirare l’interprete ad applicare il medesimo ragionamento alle plusvalenze se al momento in cui la partecipazione fu acquistata essa non rientrava tra i casi black list.

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