Depositi Iva: una garanzia «confusa»
Il regime fiscale dei depositi Iva è nato dopo oltre tre anni dall’inizio del regime di scambi (allora) intracomunitari. Stiamo infatti parlando dell’articolo 50-bis del Dl 331 del 1993, norma adottata con l’articolo 1 della legge 18 febbraio 1997, n. 28.
Se la norma è stata introdotta ci sarà bene un motivo, ed era principalmente quello di recuperare i traffici di importazione, che venivano fatti entrare nell’Unione europea utilizzando porti o aeroporti non italiani. In questo ambito erano molti attivi i Paesi Bassi. Entrando attraverso tali linee doganali il prodotto extraeuropeo pagava soltanto i dazi, con la cosiddetta immissione in libera pratica, e da questo momento la merce diventava europea (così dice anche oggi l’attuale articolo 201 del Codice doganale).
Nel paese di sbarco non veniva pagata l’Iva locale, in quanto la merce proseguiva con le regole delle cessioni intracomunitarie, con l’”assolvimento” di questa imposta da parte del destinatario, nel nostro caso italiano, mediante il meccanismo del reverse charge. I soggetti che acquistano merci all’estero sono per la quasi totalità contribuenti senza limitazione al diritto di detrazione, e quindi non devono versare l’imposta che invece avrebbero pagato se la merce fosse stata sdoganata in Italia.
Il timore delle amministrazioni fiscali, non solo di quella italiana, riguarda l’innesco di una possibile frode carosello o del venditore scomparso: si comincia con un acquisto in cui l’Iva non viene materialmente pagata dall’acquirente.
Nei primi anni dell’Iva questo rischio riguardava solo un’area limitata, quella degli acquisti degli esportatori abituali, prova ne sia che sin dall’origine dell’Iva questo abuso era punito con la sanzione più grave, dal 200% al 600% del tributo. Dal 1993 il fenomeno si è esteso in misura esponenziale con gli acquisti intracomunitari, che comprendono anche i trasferimenti della merce sdoganata in altri Stati europei.
Con l’arrivo dei depositi Iva non era più necessario triangolare l’importazione su un altro Stato, si poteva fare tutto in Italia.
Perché l’acquisto iniziale senza Iva può essere - ovviamente nei casi patologici ma che sono spesso consistenti - la fonte di una frode carosello? Chi compra non ha pagato l’Iva, quando vende la merce applica il tributo, che viene “scaricato” dal cliente con il diritto di detrazione. Il venditore ha poca Iva da detrarre, sicuramente non quella sul bene che sta fatturando, in quanto comprato con il reverse charge, e quindi dovrebbe versare quasi tutta l’Iva della propria fattura. Ma scompare e non paga l’imposta.
Una delle ultime recenti proposte della Commissione europea riguarda il possibile ribaltamento tra scambi intraunionali e scambi interni: i primi dovrebbero diventare imponibili e i secondi in reverse charge. Ma c’è solo il rischio di spostare il punto di frode, e per ora il Parlamento europeo non si è associato a questa ipotesi avveniristica.
Tornando ai depositi fiscali una significativa stretta procedurale era già stata introdotta nel 2011, coinvolgendo il controllo della dogana sino all’estrazione dei beni dal deposito (prima finiva al momento dell’introduzione), richiedendo una garanzia o un fido doganale per non versare immediatamente il tributo e qualificando i soggetti ammessi ad estrarre la merce per l’utilizzo o la rivendita in Italia.
La versione iniziale del Dl 193 rischiava di mettere completamente fuori gioco i depositi fiscali italiani, in quanto imponeva (dal 1° aprile 2017) il materiale pagamento dell’Iva con modello F24 al momento dell’estrazione.
La versione introdotta dalla legge di conversione 225 (non cambia la decorrenza differita, e quindi il testo originario è rimasto senza effetto) ridetermina i criteri di assolvimento del tributo all’atto dell’estrazione, lasciando però ad una normativa secondaria, cioè ad un decreto ministeriale (Economia e Finanze), la decisione su cosa si dovrà fare effettivamente.
I casi saranno due:
• sino all’emanazione del decreto, per il quale non esiste nemmeno un termine di natura ordinatoria, chi estrae la merce dovrà procedere al versamento dell’imposta, come a dire che i depositi fiscali possono anche chiudere, limitando la loro funzione ai casi non frequenti di acquisti relativi ad approvvigionamenti per più mesi, che vengono prelevati settimana per settimana;
• dopo il decreto si potrà continuare come ora, ma con prestazione di “idonea” garanzia, secondo modalità e nei casi definiti da questo atto.
Non si capisce che garanzia dovrà essere data per estrarre in reverse charge, tanto più che il caso non differisce da un normale acquisto intraunionale, per il quale non c’è da dare nessuna garanzia, se non quella di essere iscritti nel Vies, con la prevedibile maggior frequenza delle verifiche.
E non si capisce comunque come si possa legiferare in un modo così confuso, che lascia gli operatori nella massima incertezza sulle scelte operative.