Enti del terzo settore con opportunità di finanziarsi tramite attività diverse
L’intera disciplina del Terzo settore ruota attorno alle attività degli enti, declinate in tre categorie, alle quali corrispondono altrettanti articoli del Dlgs 117/2017 (Codice del Terzo settore):
●attività di interesse generale (articolo 5);
●attività diverse (articolo 6);
●attività di raccolta fondi (articolo 7).
Tralasciando la raccolta fondi (si veda l’altro articolo in pagina), le prime due sono le attività che caratterizzano gli enti del Terzo settore (Ets) e che, a seconda delle modalità di svolgimento, ne determinano la qualifica fiscale (come commerciali o meno).
L’esercizio di attività di interesse generale è indispensabile per collocare l’ente nel Terzo settore, per cui lo statuto deve individuarne almeno una tra quelle elencate all’articolo 5. Si va da settori già noti al mondo non profit, come il socio-sanitario e l’educazione, ad altri totalmente nuovi, come il commercio equo e solidale. Nello statuto vanno specificate le attività concretamente svolte e richiamate le corrispondenti lettere dell’articolo 5 che effettivamente qualificano l’attività, onde evitare una riproduzione pedissequa della norma che renda indeterminato l’oggetto sociale (nota ministero del Lavoro 3650 del 12 aprile 2019).
Le attività diverse, invece, costituiscono un’opportunità: gli Ets possono esercitarle per autofinanziarsi, inserendo la relativa facoltà nello statuto e demandando a future decisioni degli organi sociali la loro individuazione.
Tuttavia, per non snaturare del tutto l’ente, il loro esercizio non deve essere prevalente rispetto alle attività di interesse generale, bensì contenuto entro i limiti di strumentalità e secondarietà fissati con decreto attuativo.
Sul punto, in base allo schema approvato dalla Cabina di regia, «strumentale» dovrebbe essere qualsiasi attività idonea a reperire risorse per sostenere l’attività istituzionale, a prescindere dalla sua tipologia; mentre la secondarietà è individuata con un preciso parametro quantitativo (i ricavi delle attività diverse non devono superare il 30% delle entrate complessive dell’ente o il 66% dei costi complessivi).
Questa rinnovata concezione di attività degli Ets è molto distante da quella dei precedenti regimi agevolati di Onlus e organizzazioni di volontariato (Odv) e si fonda su una concezione diversa dell’ente del Terzo settore, da semplice collettore di erogazioni/contributi a soggetto in grado di autofinanziarsi, organizzando la propria attività anche in modo “imprenditoriale”.
Rispetto alla disciplina Onlus, ad esempio, l’attività di interesse generale degli Ets non viene più individuata in base ai soggetti a cui è rivolta (necessariamente “svantaggiati” per le Onlus, salvi i casi di attività a solidarietà immanente), ma per l’“interesse” che ricopre nei confronti della collettività e potrà essere esercitata anche con metodo economico (e non più solo a copertura dei costi).
Inoltre, l’ente ha più libertà di manovra, potendo svolgere anche attività completamente diverse da quelle istituzionali, senza sottostare al precedente vincolo di connessione ed accessorietà previsto dal Dlgs 460/97.
Discorso analogo confrontando il regime Odv: nel Terzo settore questi enti avranno accesso a un ventaglio più ampio di attività di interesse generale e, per la prima volta, potranno esercitarle anche nei confronti dei propri associati (seppure in misura non prevalente).
Allo stesso modo, le attività diverse non dovranno sottostare ai limiti di cui al decreto ministeriale 25 maggio 1995 per le attività commerciali e produttive marginali (che attualmente devono essere svolte senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato).
Questo è lo scenario che si prospetta. Tuttavia, nella fase transitoria Onlus e Odv dovranno fare particolare attenzione alle attività svolte. Fino alla completa attuazione della riforma (a decorrere dal periodo di imposta successivo al placet comunitario e, in ogni caso, dopo l’operatività del Registro unico) la disciplina Onlus resta in vigore, per cui per mantenere invariato il trattamento fiscale gli enti dotati di questa qualifica (tra cui le Odv, in quanto Onlus di diritto), devono rispettare ancora il vecchio regime.
Ciò significa, in sostanza, mantenere le attività istituzionali svolte nei parametri Onlus e Odv e continuare a rispettare i limiti più stretti per le attività ulteriori eventualmente svolte.