Esame giudiziale «light» sul concordato preventivo
Più chiari quadro e perimetro del controllo giudiziale di ammissione delle domande di concordato preventivo dopo le pronunce della Corte di cassazione degli ultimi mesi (ordinanze 2729/2018, 5825/2018, 6924/2018 e sentenza 9061/2017).
Il punto critico, nonostante l’autorevole intervento delle Sezioni unite con la sentenza 1521/2013, è costituito dal confine, incerto, tra obbligo di controllo preventivo del tribunale e diritto dei creditori di scegliere, con l’esercizio informato e consapevole del diritto di voto, tra la soluzione concordataria proposta dal debitore e l’alternativo concorso fallimentare sul proprio patrimonio.
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La lettura unitaria delle più recenti pronunce consente di precisare meglio i due diversi ambiti e, di conseguenza, sia i contenuti minimi necessari di piano e proposta concordatari sia l’approccio metodologico della relazione di attestazione, le cui valutazioni, percorso logico e conclusioni costituiscono ormai pacificamente oggetto di specifico controllo.
Al tribunale è richiesto di assicurare il rispetto della legalità nello svolgimento dell’intera procedura, con medesimi parametri in sede di ammissione della domanda e, successivamente, di omologazione o di eventuale revoca. Non subisce limitazioni di sorta il profilo giuridico del controllo, che deve escludere, pur nel rispetto della libertà che l’articolo 160, comma 1, della legge fallimentare assegna al debitore nella progettazione della manovra risolutiva della sua crisi, il contrasto di piano e proposta con norme inderogabili.
Più delicato invece il sindacato giudiziale sulla fattibilità economica. L’orientamento della Cassazione con la sentenza 1521/2013 rimette al tribunale la verifica diretta dell’effettiva realizzabilità della causa concreta, e quindi dello specifico obiettivo perseguito con piano e proposta: pur nella propria originalità devono consentire il superamento della crisi e una pur parziale e misurata soddisfazione dei creditori.
Il punto critico è individuare il limite del controllo, nel presupposto che non possa essere negato ai creditori il diritto alla autonoma valutazione del merito della proposta, e quindi della probabilità del piano di concludersi con successo.
Alcuni tribunali (tra gli altri, il Tribunale di Lecce – Appello 26 aprile 2017) hanno ritenuto che il controllo di fattibilità economica debba spingersi a una valutazione completa del piano, senza particolari vincoli che non fossero il prudente apprezzamento, o addirittura la probabilità di successo oltre ogni ragionevole dubbio.
L’orientamento di legittimità che pare consolidarsi limita inveceil perimetro di sindacabilità della fattibilità economica all’esclusione di una manifesta inettitudine del piano a raggiungere gli obiettivi, affinchè all’esame dei creditori siano sottoposte solo proposte plausibili e alternative reali al concorso fallimentare.
È evidente che la consistenza del giudizio di fattibilità espresso dall’attestatore è sia in fase di ammissione che lungo l’intero percorso cruciale. Nel metodo, la conclusione dell’esperto non può poggiare acriticamente su valori peritali o, peggio, su mirabolanti piani finanziari a sostegno della continuità. Egli deve criticamente esaminare i presupposti valutativi del piano, anche sulla base di operazioni analoghe che possano costituire un valido riferimento, e trarre con granitico percorso logico le proprie conclusioni.
Particolari cautele gli sono richieste nelle valutazioni di un piano in continuità e della relativa proposta che sui flussi di cassa prodotti individui una quota più o meno consistente delle risorse necessarie. In tal caso realismo ed elementi di vera, ma misurata novità debbono essere insieme percepibili e ragionevoli. Dopodiché la proposta che assicuri un’utilità ai creditori potrebbe richiedere anche altro rispetto a un piano fattibile, ma l’esperto attestatore avrà a quel punto diligentemente adempiuto al proprio incarico.
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