Controlli e liti

Esterovestizione, partita aperta sulla sede dell’attività economica

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di Marcello Maria De Vito


L’esterovestizione è definibile come fittizia localizzazione all’estero di una società al fine di beneficiare di un’imposizione più favorevole. Di norma, il criterio fondativo della contestazione ruota intorno alla sede dell’amministrazione. L’articolo 73, comma 3, del Tuir considera residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo d’imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato.

Le Convenzioni internazionali, che prevalgono sulla normativa interna, assegnano alla sede dell’amministrazione (place of effective management) una funzione dirimente dei conflitti di doppia residenza. Il modello Ocse che costituisce il riferimento delle Convenzioni stipulate dall’Italia, prevede che qualora un soggetto diverso da una persona fisica, sia residente in entrambi gli Stati contraenti, sarà considerato residente solo nello Stato in cui è posto il luogo di gestione effettiva.

Il commentario Ocse, al paragrafo 24, afferma che il place of effective management è «il luogo in cui sono prese le decisioni importanti di gestione (key management) e le decisioni commerciali che sono necessarie per la conduzione dell’attività dell’ente nel suo complesso».

I criteri nazionali e quelli convenzionali non sono però i medesimi. L’articolo73 Tuir impone di tenere conto anche del luogo in cui l’impresa svolge effettivamente la propria attività, cioè del luogo di produzione del reddito. Nelle Convenzioni internazionali assume rilevanza solo il luogo di assunzione delle decisioni societarie più importanti, cioè il luogo ove è pensata la gestione della società.

L’Italia ha presentato osservazioni alle note esplicative all’articolo 4 del commentario Ocse, ritenendo che il place of effective management non può essere l’unico criterio per individuare la residenza e che deve essere considerato anche il luogo ove si svolge la principale e sostanziale attività dell’ente.

La giurisprudenza tributaria della Cassazione ritiene che la «sede dell’amministrazione» è quella da cui provengono gli impulsi volitivi inerenti all’attività di gestione dell’ente. Essa rappresenta, in altri termini, il momento essenziale nello svolgersi della vita della società, nel quale i rapporti a contenuto patrimoniale vengono voluti ed economicamente determinati (Cassazione 24007/2013 e 2869/2013).

Un punto delicato riguarda l’esercizio, all’interno dei gruppi societari transnazionali, dell’attività di direzione e di coordinamento delle società controllate estere, che non deve essere confusa con l’attività di amministrazione. Sul punto merita di essere ricordata la giurisprudenza penale tributaria della Cassazione (43809/2015). La Corte ha affermato che identificare tout court la sede amministrativa della società controllata con il luogo nel quale si assumono le decisioni strategiche o dal quale partono gli impulsi decisionali può in questi casi comportare conseguenze aberranti ove esso dovesse identificarsi con la sede della società controllante, in evidente contrasto con le ragioni stesse della politica del gruppo e le esigenze sottese al suo controllo. Tale approccio ermeneutico si pone addirittura in contrasto con la presunzione di «eterodirezione» della società controllata che costituisce la ratio della disciplina all’articolo 2497 del Codice civile.

Ai fini penali, in presenza di uno specifico intento evasivo accertato in capo all’esterovestito, è integrato il reato di omessa presentazione della dichiarazione previsto dall’articolo 5 del Dlgs 74/2000. In mancanza dell’intento evasivo, attesa la tassatività delle norme penali incriminatrici, la condotta risulta punibile solo ai fini amministrativi.

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