Controlli e liti

Export capitali con pene calmierate

di Marina Castellaneta

Gli Stati membri devono sanzionare i movimenti di denaro contante in entrata e in uscita dal territorio dell'Unione in assenza della dichiarazione prevista dal diritto Ue, ma le sanzioni devono essere proporzionate e non possono, quindi, arrivare al doppio dell'importo non dichiarato. È la Corte di giustizia dell'Unione europea a stabilirlo con la sentenza del 31 maggio (C-190/17) che fornisce indicazioni alle autorità nazionali sull'apparato sanzionatorio.

A porre il quesito pregiudiziale sul regolamento 1889/2005 relativo ai controlli sul denaro contante in entrata e in uscita dall'Unione è stata la Corte superiore di Madrid alle prese con un ricorso di un cittadino cinese che aveva un volo con destinazione Hong Kong. Partito dall'aeroporto di Gran Canaria, durante lo scalo a Madrid, era stato fermato e in un bagaglio erano stati trovati 92mila euro in contanti non dichiarati. Di qui la sanzione pari a 91mila euro, giudicata dalla Corte Ue sproporzionata e in contrasto con gli articoli 63 e 65 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea sulla libertà di movimenti di capitali tra Stati membri e tra questi ultimi e Paesi terzi.

In primo luogo, per gli eurogiudici, l'obbligo di dichiarazione fissato dall'articolo 3 del regolamento n. 1889/2005 grava solo sulle persone fisiche in entrata o in uscita dall'Unione con almeno 10mila euro in contanti. Deve trattarsi, quindi, di un individuo che si sposta da un luogo che non fa parte del territorio dell'Unione a un luogo che ne fa parte (e viceversa). Nel caso di voli con scalo, va considerato – come luogo di uscita – il Paese nel quale si procederà all'imbarco per lasciare lo spazio Ue. Tuttavia, la Corte non esclude che gli Stati membri possano fissare obblighi di dichiarazione aggiuntivi rispetto a quelli previsti dal regolamento. Le sanzioni - osserva Lussemburgo - possono essere necessarie per ragioni di ordine pubblico, legate alla lotta al riciclaggio dei capitali, con la possibilità, quindi, per gli Stati di prevedere limitazioni a una libertà fondamentale del Trattato. La Corte dà il via libera a norme interne che prevedano su larga scala gli obblighi di dichiarazione, ma boccia i sistemi sanzionatori sproporzionati, pari al doppio dell'importo non dichiarato (in Italia è pari al 40%). Pertanto, le misure amministrative o repressive imposte dagli Stati membri «non devono eccedere i limiti di ciò che è necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti» dalle norme interne. È vero – scrive la Corte – che l'articolo 9 del regolamento attribuisce discrezionalità agli Stati nella scelta delle sanzioni da irrogare, ma senza che la violazione del solo obbligo di dichiarazione, non collegato ad altre attività fraudolente o illecite, si trasformi in un onere sproporzionato, contrario al Trattato di Lisbona.

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