Fatture inesistenti, la perdita della detrazione non è automatica
In ipotesi di fatture ritenute soggettivamente inesistenti l’amministrazione deve provare sia la reale riconducibilità a terzi dell’operazione, sia che il cessionario sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che la cessione si inseriva in un’evasione Iva. La circostanza che l’operazione si inserisca in fattispecie fraudolenta evasiva non comporta necessariamente la perdita per l’acquirente del diritto alla detrazione, attesa l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo.
A rimarcare questo importante principio, spesso non adeguatamente considerato dai giudici di merito, è la Corte di cassazione con l’ordinanza 20298.
La pronuncia è particolarmente interessante perché fa il punto sul corretto riparto dell’onere probatorio tra amministrazione e contribuente in caso di contestazioni di fatture soggettivamente inesistenti.
La Suprema Corte chiarisce, innanzitutto, che la falsità della fattura, sia perché le operazioni commerciali non sono mai state poste in essere in tutto o in parte (c.d. oggettivamente inesistenti), sia perché rese al destinatario ma da soggetto differente, è potenzialmente idonea a escludere il diritto alla detrazione dell’Iva assolta sul relativo acquisto
Tuttavia nella secondo ipotesi (fatture soggettivamente inesistente) il diritto alla detrazione è precluso, pur essendo i beni o i servizi entrati nella effettiva disponibilità dell’utilizzatore, se la falsa indicazione di uno dei soggetti del rapporto, determini l’evasione del tributo relativo all’operazione.
Nel delineato contesto, ai fini della ripartizione dell’onere probatorio, il diniego della detrazione rappresenta una eccezione al principio di neutralità dell’Iva: incombe così sull’Ufficio provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettino le condizioni oggettive e soggettive per la detrazione. Una volta raggiunta questa prova, spetta poi al contribuente fornire elementi di segno opposto, ossia di aver svolto le trattative in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci o i servizi acquistati fossero effettivamente rifornite dal cedente.
In sostanza, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’amministrazione deve provare sia l’alterità soggettiva dell’imputazione dell’operazione, sia che il cessionario sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che la cessione si inseriva in un’evasione Iva.
La circostanza che detta operazione si inserisca in fattispecie fraudolenta di evasione Iva non comporta necessariamente la perdite per l’acquirente della diritto alla detrazione, attesa l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo.
Nella specie veniva accolto il ricorso del contribuente, soccombente nei due precedenti gradi di merito, in quanto la sentenza della Ctr era carente sia circa gli elementi indiziari addotti dall’Ufficio a sostegno della fittizietà soggettiva dell’operazione, sia in ordine alla circostanza che l’acquirente sapesse, o avrebbe dovuto sapere con l’uso dell’ordinaria diligenza che la fattura contestata si inseriva in un’evasione di imposta.
Cassazione, ordinanza 20298/2018