Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: bonus prima casa, Tfm e remissione nei termini

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di Ferruccio Bogetti e Filippo Cannizzaro

Compensazione anche nell’impugnazione di atti a riscossione avanzata. Appello inammissibile se la notifica è dimostrata con un elenco di raccomandate. L’appalto riqualificato in somministrazione legittima la ripresa Irap. Stop alla rettifica sulla deducibilità del Tfm in analogia con il Tfr. Bonus prima casa al marito se dopo il divorzio l’immobile è detenuto solo dalla moglie. Vanno provate le precarie condizioni di salute per chiedere la remissione in termini nel processo tributario. Sono i temi della rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.

Compensazione anche nell’impugnazione di atti a riscossione avanzata
È valida la compensazione tra crediti tributari con debiti tributari iscritti a ruolo della medesima natura, anche se il contribuente ha impugnato atti successivi all’iscrizione a ruolo comunicata tramite cartella (intimazioni di pagamento). Questo perché, anche se il ruolo e la conseguente cartella sono divenuti definitivi a seguito della mancata impugnazione, il contribuente può sempre adire il giudice tributario per accertare l’estinzione del debito derivante dalla medesime iscrizioni a ruolo per compensazione con crediti di natura tributaria. Infatti la compensazione può essere fatta valere dal contribuente anche in una fase in cui il ruolo si è ormai reso definitivo per mancata impugnazione ed è irrilevante la circostanza che il contribuente abbia sbagliato nell’indicare l’anno di riferimento del credito (il periodo d’imposta 2004 anziché il 2003), perché trattasi di errore formale e quindi non sostanziale, ma che non inficia la sussistenza del credito.
Nel caso in esame, un contribuente matura un credito Iva riferito all’anno 2003. Successivamente, negli anni a seguire, lo stesso matura debiti per imposte non pagate relativi agli anni dal 2004 al 2007, le cui iscrizioni a ruolo gli vengono notificate tramite cartelle, ma che non vengono poi impugnate, rendendosi così definitive. Il contribuente provvede a compensare i debiti erariali col credito Iva 2003, indicando erroneamente l’anno 2004. Ciò nonostante l’Amministrazione non ne tiene conto, e tramite il concessionario della riscossione gli notifica le intimazioni di pagamento fondate sulle medesime cartelle.
Ctr Lombardia, sentenza 5316/24/2017

Appello inammissibile se la notifica è dimostrata con un elenco di raccomandate
L’Amministrazione, qualora intenda impugnare la sentenza di primo grado favorevole al contribuente, nel notificare l’appello a mezzo del servizio postale, deve affidare la notifica al gestore del servizio universale (ossia a Poste italiane) e dimostrare la regolarità della stessa tramite l’avviso di spedizione ovvero l’avviso di ricevimento. Quindi non è valida la notifica del gravame dimostrata dall’ente impositore tramite l’elenco raccomandate redatto e siglato dal gestore privato al quale cui è stato affidato la notificazione del ricorso in appello, perché trattasi di documento redatto non da un pubblico ufficiale e che quindi non è idoneo prova la tempestività della proposizione dell’appello. A maggior ragione se la data riportata in tale elenco è successiva alla scadenza del termine di sei mesi decorrenti dal deposito della sentenza di primo grado, termine ultimo per la proposizione dell’appello.
Nel caso in esame, l’Amministrazione appella una sentenza favorevole al contribuente depositata il 12 luglio 2016 e spedisce il gravame a mezzo posta privata ed il contribuente contesta la validità della notifica perché effettuata a mezzo posta privata. L’Amministrazione deposita un elenco di raccomandate in cui figura il timbro di posta privata che riporta la data del 13 febbraio 2017, mentre il termine ultimo per proporre l’appello era il 12 febbraio 2017.
Ctr Lazio, sentenza 6246/9/2017

L’appalto riqualificato in somministrazione legittima la ripresa Irap
È valido il recupero della maggiore Irap fondata su un contratto di appalto che in realtà “nasconde” un contratto di somministrazione di lavoro e, quindi, redatto solo per consentire all’impresa committente di abbattere l’ imponibile Irap. Infatti risulta privo di valide ragioni economiche il contratto di appalto se:
a) l’impresa appaltatrice non ha gestito l’appalto in autonoma organizzazione, ossia con propri mezzi, ma ha utilizzato attrezzature e mezzi di proprietà dell’azienda committente;
b) l’impresa appaltatrice non ha esercitato alcun potere direttivo sui propri dipendenti, ma questi si attenevano alle direttive della committente;
c) la committente non ha fornito alcuna documentazione di cantiere che attesti come l’attività fosse concretamente svolta.
Nel caso in esame, una società, operante nel settore metallurgico, stipula un contratto con altra società per la manutenzione di propri mezzi, impianti ed attrezzature. L’Amministrazione nel 2008 recupera i costi della società committente celando il contratto in realtà una somministrazione di lavoro e recupera maggior valore della produzione Irap per oltre 118mila euro con conseguente maggiore imposta per oltre 4mila euro.
Ctr Lombardia, sentenza 5338/24/2017

Stop alla rettifica sulla deducibilità del Tfm in analogia con il Tfr
L’Amministrazione non può contestare la deducibilità del trattamento di fine mandato (Tfm) perché eccede la quota fiscalmente prevista per il Trattamento di fine rapporto (Tfr) sulla scorta di una interpretazione “analogica” della relativa disciplina e, quindi, equiparare il Trattamento di fine mandato (Tfm) alla disciplina concernente il Trattamento di fine rapporto (Tfr). Da un lato, in base alle disposizioni civilistiche (articolo 2120 del Codice civile), in caso di cessazione del rapporto di lavoro il prestatore ha diritto al Tfr per una quota pari e non superiore all’importo della retribuzione dovuta diviso 13,50 per ogni anno di servizio. Poi, base alla normativa fiscale, il Tfr è ammesso in deduzione nella misura prevista dalle disposizioni legislative e contrattuali e che regolano il rapporto di lavoro (articolo 105 del Tuir, comma 4). Dall’altro lato, tuttavia, non è ragionevole equiparare il limite della deducibilità prevista dalle disposizioni relative al Tfr alla disciplina del Tfm. Questo perché è assolutamente vietato fornire una interpretazione “analogica” di una norma fiscale e quindi sostanzialmente equiparare la disciplina del Tfr a quella del Tfm. Ne consegue la piena deducibilità della somma erogata dalla società al proprio amministratore per il Tfm.
Nel caso in esame, l’amministrazione, sulla scorta di un pvc redatto dai militari della Guardia di Finanza, contesta la deducibilità relativa al periodo d’imposta 2011 del Tfm di una società perché eccedente quella prevista per il Tfr e recupera maggiore Ires per oltre 3mila euro e irroga sanzione per oltre 3mila euro.
Ctp Lecco, sentenza 280/1/2017

Bonus prima casa al marito se dopo il divorzio l’immobile è detenuto solo dalla moglie
Il contribuente, che ha acquistato immobile in comproprietà al coniuge ed usufruito delle agevolazioni prima casa, qualora sopraggiungano circostanze che gli impediscano di disporre del bene a seguito del divorzio dalla moglie con assegnazione del bene a quest’ultima, può nuovamente usufruire di tale agevolazioni. Infatti è fondata la tesi del marito ricorrente, secondo cui l’intento del legislatore è teso a garantire l’effettiva abitazione nell’immobile, e, quindi, in caso divorzio e di assegnazione dell’intero immobile alla moglie, questi può nuovamente usufruire della agevolazione suddetta. Per contro, non è valida al tesi dell’amministrazione, secondo cui l’agevolazione fiscale non possa essere chiesta due volte in nessun caso.
Nel caso in esame, un uomo acquista nel 1999, assieme alla moglie, un immobile, e richiede le agevolazioni “prima casa”. Successivamente, nel 2013, i due coniugi divorziano con cessazione degli effetti civili del matrimonio e l’immobile è affidato interamente alla moglie. In seguito, nel 2014 muore il padre dell’uomo, che presenta dichiarazione di successione in cui richiede le agevolazioni prima casa relativamente ad altro immobile, agevolazione ritenute non spettanti dall’amministrazione.
Ctp Treviso, sentenza 485/1/2017

Vanno provate le precarie condizioni di salute per chiedere la remissione in termini nel processo tributario
È inammissibile il ricorso introduttivo proposto dalla società in liquidazione oltre il termine di sessanta giorni dal ricevimento dell’atto impositivo. Né tanto meno la ricorrente può accedere all’istituto della remissione in termini per le precarie condizioni di salute del liquidatore se lo stesso non fornisce adeguata prova di quanto dallo affermato. A maggior ragione se l’Amministrazione indica tutta una serie di elementi in cui risulta assolutamente assente la precaria condizione paventata dal liquidatore.
Nel caso in esame, il liquidatore di una società ricorre avverso l’avviso di accertamento notificato il 16 ottobre 2010 concernente recuperi di ricavi basati sugli studi di settore relativo al 2005, ma notificato oltre il termine di sessanta giorni e chiede di essere rimesso in termini per problemi di salute. L’Amministrazione ritiene tardiva l’azione, perché, il liquidatore nel periodo in cui la società ha ricevuto l’atto impositivo: risulta aver lavorato come dipendente; ha stipulato un contratto di comodato; ha stipulato un atto di compravendita immobiliare.
Ctr Sicilia, sezione staccata Caltanissetta, sentenza 4651/7/2017

Senza costituzione del resistente va depositata la ricevuta del ricorso
Nel processo tributario, nel caso in cui la parte resistente non si sia costituita in giudizio, il ricorrente deve sempre produrre l’avviso di ricevimento e non un suo semplice duplicato, pena l’inammissibilità dell’azione svolta, perché l’avviso di ricevimento è l’unico documento tramite cui viene dimostrata l’effettiva e valida instaurazione del contraddittorio. Infatti è solo tramite esso che il contribuente dimostra l’intervenuta consegna, la data di consegna, l’identità della persona a mani della quale l’atto è destinato, l’ufficio postale che ha provveduto all’inoltro, e il duplicato prodotto non è idoneo a fornire tutte le sopra indicate informazioni.
Nel caso esaminato, il contribuente ricorre contro una cartella di pagamento per difetto di notifica senza produrre costituendosi la ricevuta di ritorno, e parte resistente non si costituisce.
Ctp Sondrio, sentenza 96/2/2017

L’uso dello studio del padre preclude il rimborso Irap chiesto dal figlio agente
Il rimborso dell’Irap (nel caso di specie, dal 2006 al 2009) chiesta dall’agente immobiliare spetta solo se non c’è la cosiddetta “autonoma organizzazione”. Nel caso di specie, esiste tale autonoma organizzazione dai seguenti elementi:

a) L’imprenditore si avvale dello studio del padre e quindi della relativa struttura organizzativa;

b) Risultano notevoli gli ammortamenti (nel caso di specie, tra i 4.250 ed i 9.696 euro annui);

c) Le provvigioni fatturate, dal punto di vista quantitativo, sono notevoli (nel caso di specie, oscillano per i vari anni dai 34mila agli 82mila euro), e, dal punto di vista qualitativo, riguardano soggetti diversi dal padre, così da escludere che il responsabile della struttura organizzativa – in pratica lo studio di cui si avvale il figlio – sia esclusivamente il padre.
Ctr Lombardia, sentenza 5343/10/2017


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