Il rischio decadenza non scusa il mancato rispetto dei 60 giorni
È illegittimo l’accertamento emesso prima dei 60 giorni anche se fondato su una verifica avviata presso la sede del contribuente solo per l’acquisizione dei documenti ed ultimata negli uffici dei verificatori. Peraltro la imminente decadenza dei termini per la rettifica non configura un’ipotesi di urgenza che può autorizzare l’amministrazione finanziaria a derogare al predetto termine.
A confermare questi principi è la Cassazione con l’ordinanza 29143 depositata ieri.
L’agenzia delle Entrate notificava ad una società più avvisi di accertamento, riferiti a diverse annualità, fondati sull’esito di una verifica. I provvedimenti venivano impugnati e la ricorrente eccepiva la violazione del diritto di contraddittorio preventivo previsto dall’articolo 12, comma 7 dello statuto, perché erano stati emessi prima della scadenza di 60 giorni dalla notifica del Pvc.
Solo in grado di appello, il Collegio confermava l’illegittimità di alcuni accertamenti (tranne uno), ritenendo che non sussistessero le ragioni di urgenza per derogare al termine dilatorio previsto per legge.
La decisione veniva impugnata in Cassazione dall’Agenzia lamentando, sul punto, che i giudici di secondo grado non avevano verificato se il contribuente avesse assolto in concreto l’onere di enunciare le ragioni che avrebbe potuto far valere se il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato. La Suprema Corte ha innanzitutto ricordato che le garanzie previste dallo statuto per il contribuente sottoposto a verifica devono essere riconosciute anche nell’ipotesi in cui il controllo sia solo iniziato presso la sede per l’acquisizione di documenti, ma poi ultimato nell’ufficio dei verificatori.
I giudici di legittimità, peraltro, richiamando una recente sentenza (1007/2017) hanno altresì precisato che l’obbligatorietà del contraddittorio previsto dall’articolo 12, comma 7 applicabile a qualsiasi accertamento derivante da un accesso anche “istantaneo”, esclude la necessità che l’interessato superi la cosiddetta «prova di resistenza».
Si tratta dell’enunciazione di tutti i fatti che avrebbe potuto eccepire se il contraddittorio fosse stato eseguito.
Con riferimento poi all’insussistenza delle ragioni di urgenza, la Cassazione ha ribadito che possono consistere in elementi di fatto estranei alla sfera dell’ente impositore e dalla sua diretta responsabilità. Va così escluso che il termine decadenziale del potere di accertamento possa rappresentare una valida ragione di urgenza per derogare ai 60 giorni.
La decisione è particolarmente importante poiché tra le righe, conferma l’illegittimità dell’atto emesso in violazione del contraddittorio “post” verifica, senza necessità che il contribuente dimostri quali elementi avrebbe potuto far valere in tale sede.
Fino ad oggi, la giurisprudenza intervenuta sul punto (sezioni unite 24823/2015) aveva ritenuto che la cd prova di resistenza fosse necessaria solo per gli accertamenti a tavolino riferiti all’IVA, per i quali riguardando un tributo armonizzato, è previsto l’obbligo di contraddittorio in applicazione dei principi comunitari.
Cassazione, ordinanza n. 29143/2017