«Incroci» e parentele bloccano il mandato
Le recenti e coordinate iniziative intraprese dalle sezioni fallimentari di molteplici tribunali, volte a introdurre precise linee guida per l’individuazione dei professionisti designati a ricoprire l’incarico di curatori, commissari o liquidatori giudiziali, possono considerarsi l’effetto del lungo periodo di riforme che, a partire dal 2006, hanno gradualmente alterato gli equilibri tra gli organi fallimentari.
Mentre nella disciplina previgente la figura cardine era senza dubbio costituita dal giudice delegato, nell’odierno assetto il ruolo centrale sembra essere affidato al curatore. Se prima, infatti, il giudice delegato dirigeva le operazioni del fallimento (articolo 25 legge Fallimentare, ante riforma), oggi si limita invece a esercitare funzioni di vigilanza sulla regolarità della procedura. Ma è chiaro che da un maggior potere dovranno discendere maggiori responsabilità e in questo senso le circolari dei Tribunali si premurano di ribadire che il curatore è chiamato a rendere conto di una sorta di responsabilità in eligendo quando, nella piena autonomia conferitagli dal novellato testo fallimentare, decide quali professionisti incaricare.
Seppur con sfumature diverse, i tribunali che si sono occupati della questione, convergono nel riaffermare la necessità che le nomine rispondano a criteri di correttezza deontologica, eticità, adeguata turnazione, competenza, territorialità (così i Tribunali di Milano, Palermo, Marsala) e al contempo offrano adeguate garanzie di indipendenza personale ed economica tra curatore e professionista.
Andranno pertanto evitati conferimenti di incarichi a soggetti con legami di parentela verso il curatore, o appartenenti al medesimo studio associato, così come sono da censurare modalità di nomine incrociate (nella tradizionale ottica del do ut des) che, come evidenzia il tribunale di Verona, potrebbero innescare fenomeni di insana fidelizzazione, tali da minare i fondamentali principi di imparzialità, trasparenza e indipendenza del munus assunto dal pubblico ufficiale.
Proprio allo scopo di disinnescare sconvenienti meccanismi preferenziali, le circolari esaminate incentrano l’attenzione anche sulla necessità di un rigoroso monitoraggio numerico, che dovrà riguardare sia la gestione delle nomine nelle singole procedure, sia la determinazione di una soglia massima di incarichi annui conferibili a ogni singolo professionista. In questo senso si è in generale ritenuto che, nell’ambito di ciascuna procedura, il curatore non possa affidare più di tre incarichi al medesimo professionista per anno (Tribunali di Fermo, Catania, Palermo) e che il tetto massimo annuo per singolo avvocato debba essere di 20 incarichi ricevuti.
Naturalmente la regola potrà essere suscettibile di deroghe, previa motivata segnalazione al giudice delegato, nei casi in cui il reiterato ricorso al medesimo professionista sia dettato da ragioni di convenienza, ad esempio l’instaurazione di cause seriali).