Iva e contributo integrativo privilegiati per il professionista
La legge di Bilancio 2018 modificando il dettato normativo dell'articolo 2571-bis, comma 1, punto 2), del codice civile ha esteso il privilegio generale sui mobili già concesso da tale norma alle retribuzioni dei professionisti anche al relativo contributo integrativo da versare alla rispettiva cassa di previdenza e assistenza e il credito di rivalsa per l'imposta sul valore aggiunto. La modifica dovrebbe risolvere in modo significativo le problematiche di ordine pratico che si sono venute a verificare all'interno delle procedure concorsuali in cui vi erano somme spettanti agli avvocati e che, anche a seguito di interventi di prassi, non erano mai stati compiutamente risolti. In particolare, ci si riferisce alle situazioni in cui un avvocato è chiamato a fatturare i propri compensi in occasione della distribuzione delle somme contenute nel piano di riparto.
Fino ad oggi ciò che avveniva era che il professionista ammesso al passivo per un determinato importo, magari pari al compenso pattuito e per il quale non aveva ancora emesso alcuna parcella, in quanto non pagato dalla società poi fallita, al momento di emettere la fattura in occasione della distribuzione per il compenso riconosciutogli, si vedeva negare dal curatore o commissario liquidatore il pagamento dell'Iva relativa a tale compenso in quanto componente avente natura chirografaria. Evidente il danno per il professionista tenuto ugualmente al versamento dell’Iva all'erario.
La soluzione individuata dall'amministrazione finanziaria nella risoluzione 127/E/2008, avente ad oggetto proprio le modalità di fatturazione da seguire nel caso prospettato, consisteva nel richiedere al professionista in tali situazioni l'emissione di una fattura per un importo complessivo, imponibile più cassa ed Iva, pari a quello riconosciutogli in sede di distribuzione. In breve, qualora l'importo liquidato dal giudice fallimentare fosse stato inferiore all'ammontare complessivo del credito professionale, comprensivo dell'Iva, il professionista al momento dell'emissione della fattura avrebbe dovuto proporzionalmente ridurre la base imponibile in modo tale che l'importo comprensivo della fattura, comprensivo anche di cassa ed Iva, fosse pari alla somma prevista in sede di riparto in suo favore. Tale soluzione, però, all'atto pratico non era affatto esente da problematiche, in quanto era ben possibile che il professionista che seguiva tale indirizzo finiva per vedersi pagare da un curatore o commissario liquidatore alquanto zelante la sola parte della fattura relativa all'imponibile. In breve oltre al danno anche la beffa.
Ebbene, la modifica normativa sembra aver risolto tale situazione sia, in ordine, al quantum che il professionista potrà vedersi riconosciuto, poiché anche a cassa ed Iva è riconosciuto un privilegio analogo a quello spettante sui compensi, sia all'eventuale pagamento di fatture in cui il professionista abbia seguito l'indicazione sopra delineata dall'amministrazione finanziaria non essendo più eccepibile il mancato pagamento della parte esposta in fattura ai fini previdenziali ed Iva sulla base della loro natura chirografaria.
Le procedure in corso
Rimangono, comunque, aperti i dubbi circa l'applicazione della modifica legislativa alle procedure in corso. Vale ricordare che la recente sentenza 5685 del 20 marzo 2015 delle Sezioni Unite della Cassazione, seppur con riferimento al diverso privilegio di cui al numero 5 del medesimo articolo qui in commento, ha espresso il principio generale secondo cui ogni modifica o nuova disciplina che interessa il regime dei privilegi non possa avere efficacia retroattiva, secondo il disposto dell'art. 11 delle preleggi, fatta salva l'esistenza di una disciplina transitoria o attuativa difforme. Ne deriva che nell'ambito delle procedure fallimentari la predetta norma non potrebbe trovare applicazione in tutti quei casi in cui lo stato passivo esecutivo sia già divenuto definitivo, in ossequio al principio di tutela dell'affidamento legittimamente sorto nei soggetti terzi richiamato da ultimo, in materia proprio di privilegi, dalla Corte costituzionale 170 del 4 luglio 2013.
Diverso, invece, il discorso nell'ambito del concordato preventivo in cui manca una vera e propria fase di accertamento dello stato passivo. Il momento limite per l’applicazione della nuova norma nelle procedure concordatarie in corso potrebbe, dunque, individuarsi alternativamente nel termine previsto dall’articolo 172 del legge fallimentare, il quale prevede la possibile modifica delle proposte concordatarie fino a quindici giorni prima dell’adunanza dei creditori ovvero nel termine più lungo individuabile nel momento del voto del piano concordatario, in quanto è in tale occasione che vi è una prima partecipazione attiva del creditore alla procedura. Oltre tale momento sembra difficile potersi ammettere una applicazione utile della nuova norma in quanto il vantare un privilegio fino a quel momento non tenuto in considerazione avrebbe il serio rischio di mettere in discussione il buon esito della procedura basato sugli accordi fino a quel momento raggiunti.