Professione

L’attività delle casse sanitarie torna «non commerciale»

di Renzo Parisotto e Giovanni Renella

Per le casse sanitarie viene confermata la “non commercialità” prevista dall'articolo 148, comma 3, del Tuir. È questo in sintesi l'obiettivo che si propone lo schema di decreto correttivo del Codice del Terzo settore (Cts, Dlgs 117/2017), approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 21 marzo in attuazione della previsione dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106.

Questo schema verrà trasmesso al Parlamento per il rilascio, entro 30 giorni, dei pareri delle competenti Commissioni, trascorsi i quali il decreto dovrà essere emanato.

In tale schema merita particolare rilievo, all'articolo 31, il ripristino nell'ambito dell'articolo 148, comma 3, del Tuir (Enti di tipo associativo) della presunzione di «non commercialità» delle attività svolte delle associazioni «assistenziali di cui alla lett e-ter ) del c. 1 dell'art 10 e alla lett a) del c 2 dell'art 51 TUIR». La relazione più in dettaglio definisce la “non commercialità” delle attività istituzionali effettuate verso il pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti degli enti assistenziali (fondi integrativi del servizio sanitario nazionale/enti e casse di carattere assistenziale).

Considerato che la modifica al richiamato comma 3 andrà in vigore solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello di operatività del Registro unico nazionale del Terzo settore (si vedano le disposizioni di interpretazione autentica contenute nell'art. 5-sexies del Dl 148/2017), potrebbero in tal modo non produrre proprio effetti le novità contenute nel Cts.

Va sottolineato come tale ipotesi di ripristino sia anche l'esito di un'approfondita valutazione da parte delle associazioni di categoria, le quali si sono premurate di segnalare al legislatore come l'attribuzione del “carattere di commercialità” alle casse/fondi sanitari sarebbe andato ad impattare negativamente su una platea di circa 11 milioni di assistiti.

In particolare, si ricorda che tali enti sono di costituzione, diretta o indiretta, sindacale e/o datoriale e sono per lo più controllati o sottoposti a direzione e coordinamento dalle organizzazioni sindacali e/o associazioni datoriali che li hanno promossi. Si tenga altresì conto che i fondi sanitari di derivazione negoziale (quali, per l'appunto, quelli costituiti da sindacati, associazioni datoriali ecc.) sono annoverati tra i soggetti esclusi dal Terzo settore (articolo 4, comma 2, del Cts), motivo per cui non si comprendeva sin dall'inizio l'esigenza di tale modica normativa proprio nel Cts.

In questo quadro di incertezza, si richiama la circolare prot. 11/2018 di Assoprevidenza, a commento di una risposta ad un interpello non pubblicata circa il regime fiscale applicabile ad una cassa sanitaria di cui al citato articolo 51, comma 2, lett a), del Tuir: nella favorevole risposta circa la non commercialità delle prestazioni specifiche svolte dalla cassa, la stessa agenzia ricordava tuttavia che, con l'entrata a regime del Cts, la cassa potrà continuare a beneficiare del regime di “decommercializzazione” solo collocandosi nell'ambito del comma 1 del citato articolo 148 e dunque in assenza di corrispettivi specifici..Mentre laddove il fondo assistenziale avesse mantenuto corrispettivi specifici (esempio prevedendo contributi differenziati a seconda delle diverse coperture sanitarie contenute nei piani sanitari) il nuovo comma 3 lo avrebbe collocato nell'ambito delle attività commerciali, con conseguente assoggettamento a tassazione (reddito d'impresa o redditi diversi a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità) dei contributi e delle quote versate,

Per quanto si è andati dicendo l'auspicio è che lo schema correttivo, superati i passaggi in Commissione, possa al più presto essere promulgato, dando così un quadro definitivo al settore del welfare aziendale, oggetto di sempre maggiore attenzione da parte del legislatore – su cui da ultimo si registrano i chiarimenti dell'agenzia delle Entrate contenuti nella circolare 5/E/2018 – e di grande interesse da parte delle aziende che intendono sfruttare la leva fiscale soprattutto per riconoscere premi di risultato più “appetibili” per i propri dipendenti.

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