Controlli e liti

L’immobilismo da sconfiggere per la riforma della giustizia tributaria

di Andrea Carinci

Nonostante gli impegni, le promesse e i programmi, il processo tributario non rappresenta evidentemente una priorità. Un’emergenza e una criticità, forse, ma non anche una priorità. Del resto, solo così si può spiegare il fatto che di processo tributario si discuta oggi solo in termini di interventi emergenziali, come la definizione delle liti pendenti, lo slittamento della rottamazione dei ruoli, l’istituzione di una sezione stralcio della Cassazione (una sezione Quinta bis), mentre è sparito (nuovamente) dal dibattito ogni serio proposito di riforma.

Anche il disegno di legge 988 , che aveva l’ambizioso proposito di un «Codice del processo tributario», risulta al momento accantonato. Eppure l’esigenza di mettere mano alla giustizia tributaria è avvertita da tutti. Sennonché, a parte la consapevolezza del problema, sembra che manchi una precisa volontà di risolverlo. Al più, come detto, si propongono antipiretici per abbassare la febbre, ma non anche rimedi duraturi in grado di risolvere il problema, che sarà così destinato a riproporsi, inesorabilmente, in futuro. La mole dei contenziosi in materia tributaria in tutti i livelli, di merito come di legittimità, costituisce una criticità, che è ormai un’emergenza. All’ inaugurazione dell’anno giudiziario tributario , il primo presidente della Cassazione, Giovanni Canzio, nel ricordare che oggi ben il 47% dei ricorsi in Cassazione civile è tributario, ha lanciato il grido di allarme che nei prossimi anni sarà raggiunta la quota del 65%: che, in altre parole, i due terzi dei ricorsi in Cassazione sarà tributario. Ma è chiaro che si sta parlando solo di un sintomo della malattia del sistema giustizia tributaria, nel senso che una qualsiasi misura destinata a ridurre una tantum la mole del contenzioso, come appunto la sezione stralcio oppure la definizione delle liti pendenti, non potrà risolvere il problema, curare la malattia, ma semmai stemperare l’emergenza abbassando la febbre. Se il problema è la mole dei contenziosi (soprattutto in Cassazione), ci si deve chiedere piuttosto le ragioni del fenomeno, sì da intervenire direttamente su queste.

E, con ogni evidenza, le cause appaiono essenzialmente due.

1) Innanzitutto la professionalizzazione dei giudici, ossia di coloro che sono chiamati ad amministrarla. Con una scelta che appare oggi assolutamente irresponsabile, le controversie tributarie, che non solo per numerosità, ma anche per importi e complessità non possono certamente ritenersi marginali, sono infatti affidate a giudici onorari; a giudici, cioè, che giudicano “nel tempo libero” e, soprattutto, per compensi risibili. Certo, è una giustizia che funziona, almeno sul piano dell’efficienza, ma che non di meno lascia adito a molte riserve sul piano della qualità.

2) E qui il problema si interseca con l’altra criticità della giustizia tributaria, ossia il giudizio di Cassazione, dove non vi è solo la questione del volume dei contenziosi e dell’arretrato, che si prova a risolvere falcidiando, più o meno indiscriminatamente, le cause pendenti, ma anche il problema del sostanziale smarrimento della funzione nomofilattica della Corte, che sempre più spesso si contraddice, anche a distanza di pochissimo tempo (come accaduto in materia di cumulo giuridico e di omessi versamenti o di conferimento e cessione di quote ai fini dell’imposta di registro), smarrendo così il ruolo di guida per la giustizia di merito (che sempre più spesso di discosta dall’orientamento della Corte di legittimità) e per gli operatori (anche l’Agenzia).

Ebbene, è evidente che il tema della maggiore professionalizzazione dei giudici di merito e del recupero della funzione di guida della Cassazione (ad esempio, come proposto dal progetto di codice tributario, con la costituzione di una Cassazione tributaria) sono intersecati: con sentenze di merito redatte meglio, si dovrebbe assistere ad un calo del ricorso al giudice di ultima istanza (del resto, non è un caso che le percentuali di accoglimento dei ricorsi in Cassazione siano maggiori – pressoché il doppio - in materia tributaria rispetto a quella civile), mentre con una giurisprudenza di Cassazione più univoca, convinta (non estemporanea) e convincente, si avrebbe non solo una giurisprudenza di merito più omogenea ma, al contempo, maggiori disincentivi a promuovere e proseguire istanze pretestuose.

La verità, purtroppo, è che la riforma della giustizia tributaria non è solo un problema di risorse - che comunque c’è – ma prima e soprattutto è un tema di interessi che occorre toccare, stravolgere, e ciò, con ogni evidenza, scontenta e preoccupa tanti. Da qui il sostanziale immobilismo, che si compendia con la rituale riproposizione di soluzioni tampone ogni volta che il problema si ripropone. A quando il tempo in cui si affronterà il male non limitandosi a curarne i sintomi?

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