L’istanza entro il 10 giugno sospende il processo tributario fino a tutto il 2020
Per aderire alla definizione agevolata delle liti pendenti sotto il profilo soggettivo è necessario che il giudizio sia contro l’agenzia delle Entrate, con la conseguenza che restano escluse quelle liti in cui la controparte è costituita esclusivamente da altri soggetti, quali per esempio l’agente della riscossione, l’agenzia delle Dogane o il Comune. Non è però necessario che sia l’Ufficio l’unica altra parte processuale: per esempio, vi rientrano quei casi in cui si impugnano una cartella e il relativo ruolo eccependo vizi che attengono ad aspetti che riguardano sia l’Agenzia che l’agente della riscossione, entrambe convenute in giudizio.
Per accedere all’istituto, l’oggetto della controversia tributaria deve essere un atto impositivo (avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione); pertanto, per esempio, non sono definibili i giudizi pendenti in cui si discute di un rimborso richiesto dal contribuente e negato dall’Ufficio.
Nel corso di Telefisco 2019, l’agenzia delle Entrate ha chiarito che nella definizione rientrano anche gli atti di recupero del credito d’imposta, in quanto atti impositivi. Sono quindi esclusi i procedimenti che riguardano atti privi di natura impositiva, in quanto finalizzati alla mera liquidazione e riscossione delle somme ritenute dovute, come per esempio i contenziosi su imposte dichiarate e poi non versate. Tale esclusione è stata recentemente confermata sempre nel corso dell’ultimo Telefisco: l’Agenzia ha chiarito che nel caso dei cosiddetti “avvisi bonari” ovvero delle comunicazioni di irregolarità formali, le liti aventi ad oggetto i ruoli emessi e, dunque, i relativi atti della riscossione non possono essere oggetto di definizione. Il tutto in linea con la relazione illustrativa del decreto, dove si legge che «sono, quindi, escluse dalla definizione le controversie relative ad atti privi di natura impositiva, in quanto finalizzati alla mera liquidazione e riscossione delle somme dovute».
Possono essere definite tutte le controversie per le quali:
a) il ricorso, anche con reclamo, è stato notificato entro il 24 ottobre 2018 all’agenzia delle Entrate competente, anche se non ancora iscritto in Ctp;
b) alla data della presentazione della domanda di definizione, il processo non si sia concluso con pronuncia passata in giudicato: occorre quindi fare attenzione soprattutto per i giudizi in Cassazione, poiché, se da un lato, la relativa domanda può essere inviata entro il 31 maggio 2019, dall’altro, il deposito della sentenza in sede di legittimità, essendo definitiva (se non vi è Cassazione con rinvio), potrebbe pregiudicare l’accesso all’istituto.
Da rilevare infine che sono espressamente escluse dalla possibilità di definizione le controversie aventi ad oggetto le risorse proprie tradizionali dell’Unione europea (di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della Decisione 2014/335/Ue), l’Iva riscossa all’importazione e le somme dovute a titolo di recupero di aiuti di Stato.
Le somme da versare
Le controversie possono essere definite con il versamento di somme differenti a seconda della fase del contenzioso in questione, dello stato e dell’esito degli eventuali precedenti gradi di giudizio. Per individuare il quantum dovuto ai fini della pace fiscale, come chiarito dall’agenzia delle Entrate, è necessario fare riferimento esclusivamente alla situazione processuale esistente al 24 ottobre 2018, senza che il contribuente possa o debba prendere in considerazione quella relativa al momento di presentazione della domanda al 31 maggio 2019. Pertanto, eventuali pronunce successive alla data di entrata in vigore del decreto in questione rimangono irrilevanti, qualsiasi sia il loro esito.
Inoltre, gli effetti della definizione perfezionata prevalgono su quelli delle eventuali sentenze non ancora passate in giudicato al 24 ottobre 2018.
La regola generale è quella che il contribuente dovrà pagare l’importo del tributo richiesto con l’atto impositivo impugnato al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate; nell’ipotesi di controversie relative solo a sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.
Sono state previste però diverse deroghe. Innanzitutto, in caso di ricorso pendente in primo grado iscritto entro il 24 ottobre 2018, la controversia può essere definita con il pagamento del 90% del valore delle imposte richieste. Tale opzione è stata introdotta in sede di conversione del decreto. Sul punto l’agenzia delle Entrate ha chiarito, in occasione di Telefisco 2019, che è definibile la controversia solo se al 24 ottobre 2018 il ricorso è già depositato o trasmesso alla segreteria della Ctp. Pertanto, la sola notifica precedente a tale data senza la successiva costituzione entro detto termine rimane irrilevante.
Se invece l’Ufficio è risultato soccombente nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare depositata al 24 ottobre 2018, le controversie possono essere definite con il pagamento:
•del 40% del valore della controversia in caso di soccombenza nella pronuncia di primo grado;
•del 15% del valore della causa in caso di soccombenza nella pronuncia di appello;
•del 5% del valore della controversia se l’agenzia delle Entrate è risultata soccombente in entrambi i primi gradi di giudizio di merito e la causa risulta pendente innanzi alla Corte di Cassazione, con la notificazione del relativo ricorso al contribuente avvenuta entro il 19 dicembre 2018 (data di entrata in vigore della legge di conversione del Dl 119/2018), come chiarito durante l’ultimo Telefisco;
•a seguito della Cassazione con rinvio della pronuncia di appello, il contribuente è sempre tenuto al pagamento del 90% delle imposte.
Il rinvio dalla Cassazione
L’ipotesi della Cassazione con rinvio della sentenza di appello merita un approfondimento particolare. Non di rado il giudizio in Cassazione, essendo di legittimità, fornisce il principio cui poi si dovrà attenere il giudice del rinvio. In altre parole, la lite viene rimandata alla Ctr che, in diversa composizione, dovrà decidere nuovamente nel merito della vicenda.
La decisione di rinvio potrebbe così modificare ovvero confermare la pronuncia di appello che poteva essere favorevole o meno al contribuente.
La norma sulla definizione delle liti pendenti non deroga la regola ordinaria per l’ipotesi della decisione con rinvio della Suprema Corte: ne consegue così che in tutte le ipotesi di rinvio, secondo la regola generale è dovuto il 100% del valore di lite.
In proposito, la relazione al Dl 119/2018 precisava che con una sentenza della Cassazione con rinvio, la controversia si considera pendente in primo grado senza decisione.
Con il nuovo comma 1 bis è stato previsto che per i ricorsi pendenti in primo grado, la definizione possa avvenire con il pagamento del 90% (e non più del 100%) del valore della controversia.
Pertanto, inizialmente vi erano diversi dubbi sulla percentuale da applicare nella specie: i dubbi sono stati risolti dall’Agenzia con il provvedimento protocollo 39209 del 18 febbraio 2019.
Da evidenziare che la definizione al 90% a seguito di rinvio riguarda solo le ipotesi di sentenza di merito favorevole al contribuente. In caso contrario, quindi, per esempio ove risulti vittorioso l’Ufficio in appello, anche se la sentenza venga annullata con rinvio dalla Cassazione, tale circostanza rimarrebbe irrilevante, in quanto conterebbe solo quella della Ctr in cui era vittoriosa l’Agenzia.
In ogni caso si tratta comunque di una circostanza singolare che sembra pregiudicare i benefici previsti nella norma.
Si pensi al caso di accoglimento con rinvio da parte della Cassazione dell’impugnazione del contribuente avverso una sentenza a lui sfavorevole: di fatto, pur essendoci la soccombenza dell’Ufficio “nell’ultima” pronuncia, il contribuente dovrebbe definire la lite pagando il 100%. Tale circostanza pare anomala, atteso che chi ha vinto in secondo grado, ma è in attesa della sentenza in Cassazione, può definire la lite con il 15%, mentre chi avendo vinto, pur con rinvio, in Cassazione dovrebbe pagare il 100%. Ciò fa sì che di fatto il giudizio di rinvio della Cassazione ha in sostanza minore rilevanza rispetto a una pronuncia di secondo grado.
Occorre, poi segnalare, in ogni caso, che la norma consente di definire la lite a condizione che non sia divenuta definitiva la pronuncia alla data della presentazione della domanda. Da ciò consegue che se ci fosse già stata la discussione innanzi alla Suprema Corte occorrerebbe presentare la domanda di definizione prima del deposito della sentenza. Se, invece, non ci fosse stata la discussione, ma il giudizio fosse pendente, sarebbe opportuno presentare l’istanza di sospensione del processo.
Le controversie con oggetto le sole sanzioni
Possono definirsi anche i giudizi aventi ad oggetto esclusivamente le sanzioni, a condizioni differenti a seconda che queste ultime siano o meno non collegate al tributo a cui si riferiscono.
Nel primo caso per l’accesso all’istituto in questione non è dovuto alcun importo, qualora il rapporto “a monte” relativo ai tributi sia stato definito, anche con modalità diverse da quelle previste dalla pace fiscale. Tra le sanzioni collegate al tributo, ai sensi del comma 3 dell’articolo 6, rientrano anche quelle irrogate a un terzo (come il soggetto indicato quale amministratore di fatto di una società), in concorso con l’impresa stessa, calcolate sulla base dell’imposta evasa da quest’ultima. Ne consegue che, se il rapporto relativo al tributo è stato definito, la lite instaurata dal terzo potrà definirsi senza il versamento di alcun importo (chiarimenti forniti nel corso dell’ultimo Telefisco, conformemente con quanto già riportato nella circolare 23/E del 25 settembre 2017 per la precedente definizione delle liti).
Ai sensi del comma 3, le controversie relative, esclusivamente, alle sanzioni non collegate al tributo possono essere definite con il pagamento del 15% del valore della controversia in caso di soccombenza dell’agenzia delle Entrate nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, depositata sempre alla data del 24 ottobre 2018. Negli altri casi occorrerà invece versare il 40%.
I giudizi intermedi
Nei casi di accoglimento parziale del ricorso o comunque di soccombenza ripartita tra il contribuente e l’agenzia delle Entrate, è dovuto per intero l’importo del tributo relativo alla parte di atto confermata dalla pronuncia giurisdizionale, mentre per quella di atto annullata viene applicata la misura ridotta, secondo le disposizioni viste sopra (articolo 6, comma 2 del Dl). Tale statuizione è stata inserita in sede di conversione del Dl, a conferma di quanto era stato già chiarito nella relazione illustrativa di quest’ultimo.
Va evidenziato che stante l’espresso richiamo al comma 2 dell’articolo 6 per il calcolo del dovuto in caso di soccombenza parziale, la regola prevista per i giudizi in Cassazione che hanno avuto nei due precedenti gradi di giudizio esito favorevole al contribuente (pagamento 5%) non trova applicazione nel caso dei giudizi intermedi essendo prevista dal comma 2 ter.
In concreto, per determinare la quota dovuta per aderire alla definizione della lite, occorrerà verificare se l’ultima pronuncia al 24 ottobre 2018 sia stata emessa dalla Ctp o dalla Ctr, per poi calcolare la parte di soccombenza.
Così, per esempio, se la decisione di primo grado ha confermato la debenza di 40 per imposta rispetto ai 100 pretesi con l’atto impugnato, il totale dovuto per la definizione è 64 (il 40% della parte annullata di 60 + il 100% della parte di soccombenza di 40, quindi 24+40).
Se invece la sentenza è della Ctr, per la definizione saranno dovuti 49: 15% di 60 (parte annullata) + 100% di 40 (parte confermata).
Analoghe considerazioni valgono nelle ipotesi in cui la lite riguardi solo sanzioni non collegate al tributo. Il contribuente dovrà versare il 40% sulla parte di soccombenza e il 15% sulla parte annullata.
Qualche dubbio potrebbe sorgere, invece, per i casi in cui la sentenza sia divenuta parzialmente definitiva per rinuncia da parte dell’Agenzia di qualche eccezione.
Considerando l’esempio precedente, si ipotizzi che dinanzi all’appello del contribuente sui 40 di soccombenza, l’Ufficio non abbia proposto appello incidentale per i 60 così facendo diventare definitiva quella parte della pronuncia.
Per la definizione della lite si dovrebbe verosimilmente versare solo 40 (ossia il 100% della parte di soccombenza), essendo l’unica somma ancora pendente: infatti non c’è più una lite pendente per la parte relativa ai 60, che diventa quindi estranea all’istituto della pace fiscale.
Le stesse considerazioni dovrebbero valere nel caso in cui l’Ufficio abbia parzialmente annullato l’atto impugnato nel corso del contenzioso con una formale autotutela ovvero in occasione della costituzione in giudizio.
Su questo aspetto, nel corso del Telefisco 2019, è stato chiesto all’agenzia delle Entrate di specificare come si calcolano le somme dovute per la definizione nel caso di annullamenti parziali dell’originario atto impositivo. È il caso delle ipotesi di contestazione parziale dell’atto impugnato, di giudicato interno (cioè l’ipotesi in cui una parte della sentenza di primo grado non venga appellata determinando così la definitività dei rilievi dell’avviso di accertamento che sono rimasti inoppugnati), ovvero ancora nel caso di parziale annullamento in autotutela della pretesa erariale. È stato in proposito chiarito che per la determinazione dell’effettivo valore della controversia devono escludersi gli importi che non formano oggetto della materia del contendere e quindi l’interessato dovrà calcolare la percentuale dovuta sulla parte di atto ancora pendente.
In sintesi, per gli importi non oggetto di contestazione al 24 ottobre 2018 non c’è una lite pendente, in quanto la pretesa dell’Agenzia è venuta meno per gli importi annullati ovvero divenuti definitivi.
Analogamente, se prima della presentazione della domanda di definizione viene depositata una sentenza della Cassazione, con la quale, per una parte, viene disposto il rinvio e, per un’altra, vi è una decisione definitiva, solo sul rinvio si dovranno applicare le nuove regole, in quanto sulla decisione definitiva non sarà possibile alcuna definizione della lite, mancando la pendenza di quest’ultima.
Da ultimo si precisa che agli importi dovuti vanno scomputati quelli già pagati a qualsiasi titolo (normalmente a seguito della riscossione frazionata) in pendenza di giudizio, senza possibilità comunque di restituzione delle eventuali maggiori somme già versate. Restano però dovute le somme eventualmente pendenti a titolo di aggio dell’agente della riscossione e le spese di notifica da esso sostenute, in quanto soggetto di fatto terzo rispetto alla definizione che riguarda il rapporto tra il contribuente e l’agenzia delle Entrate.
La procedura
La definizione si perfeziona con la presentazione della relativa domanda, esente dall’imposta di bollo, e con il pagamento degli importi dovuti o della prima rata entro il 31 maggio 2019. Nel caso in cui le somme da corrispondere superano i mille euro è ammesso il pagamento rateale, in un massimo di venti rate trimestrali, mentre in ogni caso non è possibile il pagamento tramite compensazione.
Il termine per il versamento degli importi delle rate successive alla prima scade il 31 agosto, 30 novembre, 28 febbraio e 31 maggio di ciascun anno a partire dal 2019. Nell’ipotesi in cui tali scadenze coincidano con il sabato oppure con la domenica, va considerata direttamente la data del lunedì successivo, come peraltro previsto per i versamenti e gli adempimenti, anche solo telematici, indicati da norme riguardanti l’Amministrazione finanziaria.
Sulle rate successive alla prima si applicano gli interessi legali calcolati dal 1° giugno 2019 alla data del versamento. In caso di inadempimento nei pagamenti rateali si applicano le disposizioni di cui all’articolo 15 ter del Dpr 602/1973.
Qualora invece non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda.
Occorrerà presentare una distinta domanda di definizione per ciascuna controversia autonoma: dunque ne occorrerà una per ogni atto impugnato, così come per ciascuna controversia autonoma andrà effettuato un separato versamento.
In particolare, a stabilire la procedura da seguire, come richiesto dalla norma in questione, è recentemente intervenuto il Diretto dell’agenzia delle Entrate (provvedimento prot n. 39209/2019 del 18 febbraio 2019).
In tale documento viene stabilito che per la presentazione della domanda da parte del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o da chi vi è subentrato o ne ha comunque la legittimazione, occorre compilare l’apposito modello, scaricabile dal sito dell’Amministrazione (www.agenziaentrate.gov.it) e trasmetterlo secondo le seguenti modalità alternative, in tempo utile prima della scadenza:
•direttamente dai contribuenti abilitati ai servizi telematici dell’agenzia delle Entrate;
•incaricando uno dei soggetti abilitati alla presentazione e alla conservazione delle dichiarazioni (Dpr 322/1998). In tale caso, l’incaricato della trasmissione telematica è tenuto a consegnare al contribuente copia della domanda di definizione predisposta, contenente anche il riquadro relativo all’impegno alla trasmissione telematica, nonché copia della comunicazione trasmessa per via telematica dall’agenzia delle Entrate, la quale attesta l’avvenuta ricezione della domanda e che costituisce prova dell’avvenuta presentazione della stessa;
•recandosi presso uno degli uffici territoriali di una qualunque Direzione provinciale dell’agenzia delle Entrate, che attesta la presentazione diretta della domanda consegnando al contribuente la stampa del numero di protocollo attribuito.
Non sono ammesse modalità di presentazione diverse da quelle suindicate, neppure mediante servizio postale o posta elettronica certificata.
La domanda inoltrata telematicamente verrà poi trasmessa tramite i canali Entratel o Fisconline.
L’istanza, debitamente sottoscritta dal richiedente e dal soggetto eventualmente incaricato della trasmissione telematica, deve essere conservata a cura del richiedente stesso fino alla definitiva estinzione della controversia, unitamente ai documenti relativi ai versamenti effettuati, sia in pendenza di giudizio sia in sede di definizione agevolata della controversia, nonché alla documentazione relativa all’eventuale definizione agevolata dei carichi affidati all’agente della riscossione (articolo 1, Dl 148/2017), nel caso in cui le somme interessate dalle controversie definibili siano oggetto di definizione agevolata dei carichi.
L’Agenzia, con risoluzione 29/E del 21 febbraio 2019, ha poi istituito i codici tributo per il versamento, mediante modello F24, delle somme dovute a seguito della definizione agevolata delle controversie tributarie, da esporre nella sezione «Erario», esclusivamente in corrispondenza delle somme indicate nella colonna «importi a debito versati». I codici in questione sono consecutivi e vanno dal PF30 al PF36.
Nel provvedimento viene precisato che per la compilazione dell’F24:
•nel campo «codice ufficio» va indicato il codice (reperibile sempre sul sito www.agenziaentrate.gov.it) della Direzione regionale o provinciale dell’agenzia delle Entrate (ufficio legale), del Centro operativo di Pescara, ovvero dell’Ufficio provinciale – Territorio, parte in giudizio.
•nel campo «rateazione/ regione/prov./mese rif.», ove previsto, va immesso il codice della Regione o quello catastale del Comune destinatario;
•nel campo «anno di riferimento» è valorizzato secondo le istruzioni riportate nel modello di domanda: in sintesi l’alternativa è tra il periodo d’imposta o anno di registrazione indicato sull’atto oggetto della controversia;
•se il versamento viene eseguito da un soggetto diverso da colui che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio, nel campo «codice fiscale» della sezione «Contribuente» del modello F24 è indicato il codice fiscale del soggetto che effettua il versamento. In tale caso, nel campo «codice fiscale del coobbligato, erede, genitore, tutore o curatore fallimentare» va riportato quello del soggetto che aveva proposto l’atto introduttivo del giudizio da definire, unitamente all’indicazione, nel campo «codice identificativo», del codice «71»;
•il campo «codice atto» non va invece mai compilato.
La sospensione dei giudizi e dei termini delle impugnazioni
Le controversie definibili non sono sospese automaticamente, ma solamente a seguito della presentazione di apposita istanza al giudice, nella quale il contribuente dichiara di volersi avvalere delle disposizioni relative alla definizione della lite. In tale caso il processo è sospeso fino al 10 giugno 2019 a seguito di provvedimento del giudice, che in ogni caso dovrebbe valutare l’ammissibilità della richiesta, atteso che il contribuente potrebbe anche avanzare un’istanza per un giudizio non definibile, per esempio perché avente ad oggetto un rimborso.
Con il deposito, entro tale data, di copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata (i cui termini scadono il 31 maggio 2019), si determina l’ulteriore sospensione del processo sino al 31 dicembre 2020.
È altresì previsto che per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono dalla data di entrata in vigore del Dl 119/2018, vale a dire dal 24 ottobre 2018, fino al 31 luglio 2019. Da evidenziare che detta sospensione dei termini non è subordinata all’effettivo accesso alla definizione agevolata, ma il giudizio deve rientrare comunque tra quelli che potenzialmente vi potrebbero rientrare.
A tale proposito, in occasione del Telefisco 2019, l’agenzia delle Entrate ha chiarito che la sospensione dei termini di impugnazione di 9 mesi si aggiunge al termine di scadenza calcolato secondo le ordinarie regole processuali, ivi incluse quelle relative al periodo dal 1° al 31° agosto di sospensione feriale. Quindi al fine di applicare correttamente la sospensione è necessario individuare in via preventiva la scadenza naturale del termine di impugnazione, comprensiva dell’eventuale sospensione feriale, e poi sommare i 9 mesi, con la precisazione che la durata della sospensione in questione resta comunque pari a 9 mesi, anche nei casi in cui essa si sovrapponga al periodo di sospensione feriale dei termini.
Per fare un esempio pratico, in caso di sentenza notificata l’8 ottobre 2018, la relativa impugnazione può essere proposta entro il 7 settembre 2019, tenuto conto che alla data di scadenza naturale (7 dicembre 2018) vanno sommati i 9 mesi della sospensione di cui al comma 11 dell’articolo 6 del Dl 119/2018, senza tener conto dell’ulteriore periodo della sospensione feriale.
Se invece la pronuncia depositata, per esempio, il 5 settembre 2018 non viene notificata, i termini per l’impugnazione scadranno il 5 dicembre 2019 (sei mesi ordinari sino al 5 marzo 2019 + i nove mesi di sospensione, non considerando la sospensione per il mese di agosto).
Si precisa che per la precedente definizione delle liti (Dl 50/2017) era stato chiarito (circolare 22/2017) che un’eventuale notifica della sentenza durante il periodo di sospensione non sarebbe idonea né ad abbreviare il termine lungo previsto per la sospensione, ma nemmeno ad allungarlo, atteso che il termine per l’impugnazione scade in ogni caso con il decorso del termine lungo e non può essere posticipato da quello breve che eventualmente lo superi. Sebbene tale chiarimento non sia stato riportato ad oggi in provvedimenti dell’Agenzia in riferimento alla pace fiscale, verosimilmente dovrebbe valere anche per quest’ultima.
Pertanto, se si notifica il 5 marzo una sentenza depositata il 4 marzo 2019, i termini per l’appello scadranno il 4 ottobre (sei mesi dal 4 marzo oltre alla sospensione feriale) e non il 4 febbraio 2020 (60 giorni dal 5 marzo 2019 + nove mesi si sospensione).
Il diniego alla domanda di definizione
L’eventuale diniego della definizione va comunicato al contribuente entro il 31 luglio 2020 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali. Tale atto è impugnabile entro sessanta giorni dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia.
Nel caso in cui la definizione del giudizio sia richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale può essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego ricevuto, sempre entro sessanta giorni dalla notifica di quest’ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine.
L’estinzione del processo a seguito della definizione
Il processo si estingue, con decreto presidenziale, in mancanza di istanza di trattazione presentata entro il 31 dicembre 2020 dalla parte che ne ha interesse. L’impugnazione della pronuncia giurisdizionale e del diniego, qualora la controversia risulti non definibile, valgono anche come istanza di trattazione. Le spese del giudizio estinto restano a carico della parte che le ha anticipate.
L’agenzia delle Entrate ha precisato (Telefisco 2019) che il regolare perfezionamento della definizione agevolata produce un effetto estintivo della pretesa tributaria inerente alle violazioni constatate e, nel caso di definizione della lite pendente, produce altresì, come riflesso processuale, l’estinzione del giudizio.
Si tratta, pertanto, di effetti ai quali consegue il venire meno dell’efficacia di precedenti misure cautelari o esecutive, sempreché non siano riferite anche ad altre violazioni non oggetto della definizione agevolata. In caso poi di eventuale inadempimento nei pagamenti delle rate successive alla prima si applicano le disposizioni relative al recupero coattivo delle restanti somme dovute.
L’Ufficio verificata la regolarità della definizione, avrà cura di chiedere la cessazione della materia del contendere anche in ordine alle altre controversi instaurati dai coobbligati e aventi ad oggetto lo stesso atto.
La posizione dei coobbligati e dei soci delle società
Nei casi in cui la definizione sia perfezionata dal coobbligato, la stessa giova in favore degli altri, inclusi quelli per i quali la controversia non sia più pendente, fermo restando che la definizione non dà luogo alla restituzione di quanto già versato, anche in eccesso.
L’eventuale definizione della lite da parte di una società di persone o di una società di capitali a ristretta base azionaria, limitatamente alle sole imposte accertate nell’atto e di competenza della medesima, non esplica efficacia nei confronti dei soci, con riguardo ai redditi di partecipazione accertati in capo a questi ultimi: non si tratta infatti di soggetti coobbligati, ma solo “collegati” al diverso atto impositivo notificato alla società, dal quale semplicemente discendono quelli distinti intestati ai singoli soci. Questi ultimi potranno quindi definire autonomamente le controversie aventi ad oggetto gli atti che recano l’accertamento del maggior reddito nei loro confronti. Ovviamente salvo il caso in cui l’accertamento in questione non possa essere oggetto di autonoma definizione agevolata: semplicemente si tratterà in questo caso di una vicenda autonoma rispetto a quella che ha coinvolto la società.
La possibile estensione agli Enti territoriali
La norma infine prevede la possibilità per ciascun ente territoriale di stabilire, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti, l’applicazione delle disposizioni relative alla definizione delle liti pendenti alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte il medesimo ente ovvero un suo ente strumentale. Tale scelta dovrà essere compiuta entro il 31 marzo 2019.
La definizione delle liti pendenti in sintesi
L’istanza di sospensione del processo per la definzione liti contro le Entrate
L’istanza di sospensione del processo per la definizione delle liti con gli enti locali