Diritto

L’iter negoziato per le crisi aziendali non dribbla l’intervento del giudice

La procedura introdotta dal Dl 118 ha carattere volontario ed extragiudiziale

di Niccolò Nisivoccia

Nella nuova procedura di composizione negoziata per la soluzione della crisi d’impresa, introdotta dal decreto legge 118/2021, l’intervento del giudice non è necessario ma è molto probabile. I casi in cui il decreto legge lo prevede riguardano infatti ipotesi molto importanti e frequenti. Il Dl 118 è all’esame del Senato per la conversione.
La nuova procedura
La procedura di composizione prevista dal Dl 118/2021 rappresenta una misura che potremmo definire lenitiva rispetto al doveroso differimento dell’entrata in vigore delle norme sull’allerta e sulla composizione assistita della crisi contenute nel Codice della crisi. Vale a dire: preso atto che introdurre oggi le misure d’allerta, nella situazione generata dalla pandemia, equivarrebbe a dilatare a dismisura il numero delle dichiarazioni di insolvenza, il legislatore ha comunque voluto introdurre uno strumento che con le misure d’allerta condivide senz’altro il fine e lo spirito (favorire l’emersione più anticipata possibile delle crisi) senza tuttavia scontarne il medesimo carattere potenzialmente letale.
La differenza è questa: mentre il sistema d’allerta prevede, al ricorrere di certi parametri indicativi di una crisi, un vero e proprio obbligo di segnalazione e di attivazione da parte degli organi di controllo e dei cosiddetti “creditori pubblici qualificati”, funzionale all’apertura della procedura di composizione assistita, viceversa la procedura di composizione negoziata non impone obblighi di segnalazione o di attivazione a nessuno.
Ciò che caratterizza la nuova procedura, rispetto all’allerta, è quindi la sua totale volontarietà: accedervi o non accedervi è il frutto di una scelta discrezionale, che l’imprenditore compie in autonomia e liberamente. Certo: le norme prevedono, per l’ipotesi di accesso alla procedura, alcune misure premiali, come ad esempio la riduzione degli interessi e delle sanzioni sui debiti tributari; così come un invito a promuovere la procedura rivolto all’organo amministrativo da parte degli organi di controllo potrebbe consentire a questi ultimi, successivamente, di invocare l’esclusione o l’attenuazione di eventuali responsabilità a loro carico. Ma rimane il fatto che la decisione di accedere alla composizione negoziata spetta in ogni caso al solo imprenditore.
Quando serve il giudice
Tracciata questa fondamentale differenza, per il resto la procedura è molto simile a quella di composizione assistita: e lo è innanzitutto dal punto di vista del ruolo dell’autorità giudiziaria, la cui comparsa sulla scena è in entrambe le procedure solo eventuale e vincolata a sua volta a specifiche istanze dell’imprenditore.
I casi sono cinque:
- se si vuole godere di misure protettive del patrimonio, contro possibili aggressioni individuali in corso d’opera;

- se si desidera contrarre finanziamenti prededucibili;
- se si intenda cedere l’azienda libera da debiti (in deroga alla regola generale fissata dal Codice civile, secondo cui invece dei debiti relativi all’azienda ceduta continua sempre a rispondere anche l’acquirente);

- se, una volta raggiunto l’accordo, lo si voglia dotare della forma di un accordo di ristrutturazione dei debiti;

- se si mira a riequilibrare le condizioni di un contratto divenuto eccessivamente oneroso per effetto della pandemia.

In ciascuno di questi casi è onere dell’imprenditore avanzare le richieste, e spetta all’autorità giudiziaria accoglierle o respingerle. Può anche darsi, dunque, che nessuna richiesta venga avanzata e che la procedura si svolga senza necessità che il giudice intervenga; così com’è possibile che all’esito della procedura un accordo venga raggiunto ma che all’imprenditore non interessi dotarlo di forme ulteriori rispetto a quelle di un contratto tout court (salva la possibilità di poter godere ugualmente delle misure premiali, se la relazione di un esperto attesti che si tratta di un contratto idoneo a garantire la continuità aziendale per almeno due anni).
Ma i casi nei quali l’intervento del giudice è necessario riguardano ipotesi molto importanti, spesso tipiche nella prassi: rappresentano e rappresenteranno, probabilmente, molto più di semplici eventualità.

I CINQUE CASI
1. Misure protettive
Vanno richieste con istanza da pubblicare nel registro imprese. Il giorno stesso va depositato il ricorso al tribunale che conferma o modifica la misura e fissa la durata (30-240 giorni). Dalla pubblicazione i creditori non possono acquisire prelazioni né iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari
2. Finanziamenti prededucibili
Spetta al tribunale autorizzare i finanziamenti prededucibili, da parte di terzi e soci, purché funzionali alla continuità aziendale e alla miglior soddisfazione dei creditori
3. Cessione d’azienda
Il tribunale può autorizzare l’imprenditore a cedere l'azienda senza che anche l’acquirente risponda dei debiti.
4. Accordo di ristrutturazione
Il tribunale decide sull’eventuale richiesta di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti, effettuata dall’imprenditore
5. Contratto ad esecuzione
Se necessario per la continuità aziendale, il tribunale può rideterminare le condizioni di un contratto ad esecuzione continuata, periodica o differita, che la pandemia ha reso troppo oneroso

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