L’onere di provare l’inerenza grava sul contribuente
In materia di accertamento afferente le imposte sul reddito, il gravame della prova riguardante i presupposti dei costi e degli oneri deducibili partecipanti alla determinazione del reddito d’impresa, tra i quali rientrano a pieno titolo l’inerenza e la diretta imputazione alle attività generatrici dei componenti positivi di reddito in riferimento al Dpr 917/1986, grava sul contribuente. Oltre a ciò, considerato che nelle attribuzione dell’agenzia delle Entrate, in fase di accertamento, è ricompresa la valutazione della congruità dei costi e dei ricavi evidenziati nel bilancio di esercizio e nelle dichiarazioni tributarie, con la possibilità di negare la deducibilità di una porzione di un costo parametrato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa, l’onere della prova in merito dell’inerenza dei costi, gravante sul contribuente, ha per oggetto anche la congruità degli stessi (cfr. sentenze n. 4554/2010, n. 26480/2010 e n. 19537/2016). A tale conclusione è giunta la corte di Cassazione attraverso l’ordinanza n. 19875/2017 depositata in cancelleria il 9 agosto 2017.
Per il tramite della riforma intervenuta nei primi anni settanta, tuttavia, la scelta del legislatore è stata quella di determinare, in merito al reddito di impresa, la sostanza imponibile utilizzando una visione economica e non esclusivamente tributaria, partendo dal risultato netto (utile o perdita) di bilancio, in seguito valorizzato per il tramite di una visione fiscale applicata alle specifiche poste che hanno concorso a determinare il risultato netto di bilancio. La conseguenza di ciò è stata la scomparsa dai dettati normativi (Dpr n. 597/1973 e Dpr n. 917/1986) di qualsivoglia definizione del principio di inerenza in quanto, essendo il reddito d’impresa un valore netto, lo stesso necessita di un principio sovraordinato di diretta derivazione costituzionale, finalizzato a effettuare una ricognizione di quelle poste che hanno un legame con l’attività svolta.
Pertanto la polla del principio di inerenza non deve più essere individuata in una disciplina particolare, ma bensì nella medesima struttura giuridica dell’imposizione afferente al reddito d’impresa. L’inerenza raffigura, in realtà, il precetto che identifica l’essenziale connessione che deve sussistere tra un componente reddituale e l’attività esercitata dall’imprenditore.
Con la mera eccezione rappresentata dalla circostanza in cui ci si imbatte nelle rettifiche fondate su presunzioni semplici, in relazione alla rideterminazione quantitativa dell’inerenza, la stessa, in linea di principio, non necessita di alcuna dimostrazione. Invero l’onere della prova trova applicazione in merito ai fatti (ex art. 2697 c.c.) nella circostanza in cui, quelli oggetto della decisione, risultano essere indeterminati. Ma in merito all’inerenza raramente sono i fatti a essere posti in discussione in quanto ciò che rileva è se il componente economico ha un collegamento o meno con l’attività esercitata. Tutto ciò però non è riconducibile a un fatto, che può essere oggetto di prova, ma a una valutazione delle circostanze. In sostanza, si tratta di valutare se il componente economico, positivo o negativo che sia, dispone di un collegamento funzionale con l’attività dell’impresa.
Di conseguenza, in merito all’inerenza, risulta inopportuno assegnare alle parti l’oneri della prova avendo le stesse, più propriamente, un onere di allegazione della documentazione a supporto dei fatti posti a fondamento delle proprie ragioni. L’agenzia delle Entrate è tenuta pertanto a evidenziare, all’interno dell’avviso di accertamento, i fatti e le ragioni in forza dei quali è giunta a ritenere che determinati componenti economici non dispongono di alcuna connessione con l’attività imprenditoriale, laddove il contribuente, nella sua difesa, è tenuto ad allegare i fatti e le motivazioni comprovanti la circostanza che i medesimi componenti possiedono una correlazione con l’attività dell’azienda (Cass. 7881/2016 e 21446/2014).
L’unica eccezione alla considerazione rappresentata si manifesta nella circostanza in cui l’amministrazione finanziaria, per il tramite di presunzioni semplici, riduca quantitativamente l’inerenza di una spesa in quanto anti economica. In tale circostanza sussiste un onere della prova in relazione alle argomentazioni presuntive poste a base della rettifica e tale onere incombe, inevitabilmente, in capo all’agenzia delle Entrate.
L’ordinanza n. 19875/2017 della Cassazione