La convenienza si gioca sugli sconti fiscali
Detrazioni e deduzioni fiscali, ancora loro. Per valutare l'impatto della Dual tax prospettata nel “contratto di governo” tra Lega e Movimento 5 stelle e non si può fare a meno di considerare che l'Irpef – al di là delle aliquote nominali dal 23 al 43% – è pesantemente influenzata dal sistema degli sconti fiscali. Proprio quegli sconti che da anni vengono monitorati in vista di un riordino.
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Partiamo dai redditi più bassi. In base alle ultime Statistiche fiscali (anno d’imposta 2016), ci sono 12,6 milioni di italiani che dichiarano un reddito complessivo minore o uguale a 10mila euro annui. Tutti contribuenti che ricadono nel primo scaglione Irpef (23%), ma che beneficiano di deduzioni e detrazioni, in particolare della no tax area fino a 8mila euro di reddito per i dipendenti e i pensionati.
Risultato: anche considerando gli autonomi – che sono comunque una sparuta minoranza – tutti questi contribuenti dichiarano redditi per 55,9 miliardi (esclusi gli affitti in cedolare, già tassati a parte) e hanno una Irpef di 1,4 miliardi, che corrisponde mediamente a un tax rate effettivo del 2,5 per cento. È chiaro che per loro un’aliquota secca al 15% moltiplicherebbe per sei il prelievo. Ed è proprio per questo che il “contratto di governo” prevede una clausola di salvaguardia anti-rincari.
È una clausola che potrà essere molto complicata o molto semplice da scrivere, a seconda delle scelte che verranno fatte attuando la Dual tax.
Prendiamo un lavoratore che dichiara 10mila euro l’anno. Per lui la Dual tax al 15% comporterebbe un’imposta di 1.500 euro, più alta dell’attuale Irpef, che con le detrazioni per i dipendenti è pari a circa 510 euro. Ma, se quel contribuente ha delle spese detraibili che gli permettono di portare l'imposta netta a 200 euro (spese mediche, spese scolastiche e così via), come potrà evitare di pagare 300 euro di tasse in più? Salvare la sola detrazione di lavoro dipendente non gli garantisce l'invarianza. Se poi si sceglie di mantenere alcune delle altre detrazioni, come quella sul mutuo, eliminandone altre, il risultato cambia caso per caso. In più bisognerebbe valutare l'effetto di possibili rimodulazioni della no tax area.
Per chi dichiara redditi elevati l'inconveniente tende a risolversi da sé, perché la convenienza della Dual tax è in genere tale da controbilanciare anche l'eventuale perdita delle detrazioni. Ma il problema è che, tra i redditi dichiarati, quelli davvero elevati sono pochi.
Più di 11 milioni di contribuenti denunciano da 10 a 20mila euro: per loro, l’aliquota Irpef effettiva è al 10,2 per cento. Al di là del fatto che potrebbero beneficiare anche delle deduzioni legate al nucleo familiare previste nel progetto della Dual tax, è probabile che per quelli tra loro che sfruttano di più le detrazioni dovrà scattare la clausola di salvaguardia anti-rincari. Altri 13 milioni di italiani sono nella fascia reddituale da 20 a 40mila euro e hanno un’Irpef effettiva del 17,6 per cento. Poco sopra l'aliquota della Dual tax, quindi.
Per non penalizzare nessuno, insomma, servirà un bilanciamento molto attento, visto che oltre i 40mila euro di reddito c'è solo il 9% dei contribuenti.
L’alternativa più “semplice” sarebbe trattare la Dual tax come un regime che coesiste con l’Irpef e che può essere utilizzato da chi lo trova conveniente. Un po’ come accade con la cedolare secca sugli affitti, tassa piatta già sperimentata dal 2011. Il sistema fiscale non ne uscirebbe semplificato, ma si avrebbe la certezza che nessuno pagherà di più.
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