La rinuncia all’appello inciampa nella trappola del giudicato esterno
Nella decisione di non impugnare una sentenza di merito occorre tener conto dell’orientamento della Cassazione in materia di giudicato esterno. Secondo la Suprema corte, infatti, la sentenza passata in giudicato fa stato tra le stesse parti anche per annualità diverse, con riferimento alla medesima questione decisa dal giudice. Ne deriva pertanto che se si omette di proporre appello avverso, ad esempio, una sentenza della Ctp, ne potrebbero scaturire effetti irreversibili per le annualità successive, se il tema affrontato sia destinato a ripetersi identico in futuro. E questo anche se l’impugnazione fosse stata tardiva per errore del contribuente (Cassazione 16738/2019).
Le statuizioni della Cassazione
La decisione cui si fa risalire la definitiva valenza del giudicato esterno in materia tributaria è la sentenza n. 13916/2006 delle Sezioni unite. Prima di allora si opponeva alla piena applicazione dell’istituto il principio dell’autonomia dell’obbligazione d’imposta per anno solare. Si sosteneva, pertanto, che le statuizioni formatesi per un determinato periodo d’imposta non potessero esplicare effetti al di là di esso. Le Sezioni unite del 2006 hanno invece ritenuto che, rispetto alla suddivisione convenzionale in annualità, dovesse essere privilegiata la possibilità di individuare elementi comuni alle obbligazioni di periodo, in ragione proprio della ciclicità del presupposto. A ciò si aggiunga la tradizionale impostazione della giurisprudenza di legittimità in ordine alla natura del processo tributario, inteso come giudizio non sull’atto ma sul rapporto: una sentenza quando accerta un determinato aspetto del rapporto tributario ed entra così nel merito della pretesa può regolare un elemento potenzialmente comune a più esercizi.
Dalle premesse la Corte ha estratto il principio che il giudicato esterno vale in presenza di identità di questioni trattate tra le medesime parti processuali anche se riferite ad annualità diverse. Poiché il giudicato si forma sulle questioni e non sugli atti, non rileva ad esempio il fatto che nelle pronunce precedenti fosse in discussione un atto impositivo mentre nelle vicende successive si discuta del diniego di rimborso (Cassazione 6998/2019).
La portata del giudicato
La Suprema corte attribuisce efficacia normativa al giudicato esterno. Quindi, lo stesso può essere eccepito per la prima volta davanti alla Cassazione, per essersi formato dopo che si è concluso il giudizio di merito; ed è anche rilevabile d’ufficio dal giudice (Sezioni unite 13916).
Le Sezioni unite hanno pertanto esemplificato le questioni che, per loro natura, sono suscettibili di “durare nel tempo” citando tra l’altro la qualificazione di ente commerciale o non commerciale, soggetto residente o non, nonché la spettanza di una agevolazione a carattere ultrannuale. In questi casi l’accertamento compiuto dal giudice riverbera i suoi effetti anche per le annualità successive, in costanza delle condizioni di fatto e di diritto esaminate dal primo giudice. La dialettica che si desume dalla pronuncia della Corte è quella per cui il giudice è tenuto ad applicare il giudicato esterno, salva la facoltà dell’interessato di eccepire eventuali mutamenti, in fatto o in diritto, della fattispecie intervenuti nel tempo.
Si potrebbe anche argomentare che in alcuni casi si è a cospetto di un fatto singolo originario, con effetti permanenti nel tempo (si pensi ad esempio, ai costi pluriennali); in altri casi si tratta di situazioni tendenzialmente permanenti, che potrebbero, in astratto, mutare da un anno all’altro (ad esempio, la condizione di soggetto non residente). Anche in questa seconda eventualità sarebbe corretto presumere la costanza della situazione del tempo, salvo prova contraria.